Lo chef Simone Tondo, la cucina semplice nel cuore dei parigini
Il macomerese Simone Tondo del ristorante Racine è un altro sardo che porta la sua arte culinaria al di là delle Alpi
A Parigi la cucina italiana che piace sempre più ai francesi. Il macomerese Simone Tondo del ristorante Racine è un altro sardo che porta la sua arte culinaria al di là delle Alpi. La passione, sì, c’è tutta, ma non basta. Il duro lavoro è sempre quello che ripaga chi, sin da ragazzo, si è rimboccato le maniche per perseguire i suoi obiettivi, anche lontano dall’Isola. «Per esperienza, dico che essere sardo non basta più. Devi dimostrare professionalità». E spesso, mettendo insieme esperienza e buona cucina, si riesce a fare breccia nel cuore e nei palati di tanti, anche con piatti semplici.
Simone Tondo, dalla Sardegna alla Francia: «Essere sardi non basta più»
Non basta allora essere italiani o sardi, per fare buona cucina. Devi saperlo dimostrare, coi fatti e ai fornelli, giorno per giorno. E Simone su questo non ha dubbi, soprattutto dopo una lunga formazione che lo ha portato un po’ ovunque. «Ho iniziato per tappe – racconta lo chef, classe ’88 – dopo un primo stage a Milano, sono arrivato a Mentone. Da lì, rotta verso Parigi». Un percorso non facile, fatto di scelte e riflessioni di chi per se stesso ha sempre voluto il meglio, anche discostandosi dal mercato. «Non riuscivo a trovare, a volte, un posto giusto dove lavorare, soprattutto dopo essermi formato con i migliori cuochi sardi. E allora ci sono stati momenti in cui ho mollato, ma non ho rimpianti».
A Parigi l’avventura di Racine: «Il segreto è trovare buoni maestri».
Un percorso, quello dello chef Tondo, costruito sulle sue necessità, che alla fine ha portato delle soddisfazioni. «Io ho aperto il mio primo ristorante a 23 anni ed è andato benissimo. Oggi ho aperto il terzo, Racine, e va sempre meglio. Ho avuto ragione». E se qualcuno gli domanda il segreto, Simone non ha dubbi: «Bisogna trovare buoni maestri che ti educhino, quasi come genitori».
A Parigi la “bistrosteria” di Racine. Quella sfumatura di italianità
Dal 2007 Racine offre quotidianamente ai parigini un angolo di buona cucina, tra i primi a trattare prodotti di allevamento e biologici. Nel 2018, l’approdo di Simone, che apporta delle modifiche: «Abbiamo cambiato la carta, con delle sfumature italiane. Un misto tra bistrot e osteria, una sorta di “bistrosteria”». Cucina italiana, dunque, anche se lo chef di Macomer è attento a evidenziare certe specificità. «Noi variamo nel percorso italiano, vero, ma non si può riprodurre in Francia una cucina al cento percento italiana. Tutto è fresco e lavoriamo nell’immediato su un menù che ha certamente delle basi italiane, una pasta, e una selezione dei dolci».
I cavalli di battaglia di Racine, nei piatti la semplicità che tanto piace
Una cucina quindi che attira il cliente, sempre disposto a provare qualcosa di nuovo a tavola. E allora ai fornelli di Racine non mancano i cavalli di battaglia che, nella loro eleganza e semplicità, deliziano i “cugini” di Parigi. «Il nostro faro è il vitello tonnato. Un piatto vicino a quello che preparava mia nonna, quando stavo a casa: tonno, capperi, acciughe, sale e olio. E la carne deve essere rosa, morbida, con la salsa che si adatta ai gusti della persona». Un piatto immancabile, dunque, anche se Simone non può che citare anche la pasta come simbolo di italianità. «Ci sono le tagliatelle con ragù di guancia di manzo: origano, una salsa rossa stracotta, e un po’ di pecorino».
Dallo chef Tondo una garanzia: «Cucina estremamente semplice. Il tocco di Sardegna? Sono io»
Una cucina semplice, ma diretta, garantisce lo chef Simone Tondo, che non ha dubbi: «Il nostro ristorante funziona bene perché da noi non ci sono filtri, il cliente vede nascere, trasformarsi e uscire il suo piatto, tutto lì». Non manca, da parte di un sardo, l’aggiunta dell’Isola in cucina, anche se Simone sottolinea come in un paese straniero non sia facile riprodurre piatti sardi al cento percento: «Gli ingredienti sono pur sempre francesi, come la salsiccia che usi per la campidanese. Magari si può aggiungere quel tocco di finocchietto che fa la differenza. E poi, di sardo, ci sono io».
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