Roma al tempo dei boia. Le terribili esecuzioni capitali e interviste ai romani
In passato abbiamo già parlato di Mastro Titta “er boja de Roma”, esecutore di morte dello stato pontificio. Stavolta abbiamo effettuato una panoramica sulla storia della pena di morte nella Capitale e nel mondo, intervistando nell'ultimo giorno del 2023, anche alcuni cittadini romani su cosa pensassero a riguardo.
La pena di morte in Italia è stata in vigore fino al 1889 nel codice penale, tornò con il fascismo dal 1926 al 1948, per poi essere abolita con l’avvento della Costituzione, ma prevedeva ancora delle eccezioni in caso di guerra. Solo nel 1994 fu abolita definitivamente, sostituita dall’ergastolo e nel 2007 furono eliminati dalla legge fondamentale dello Stato italiano i riferimenti anche alle leggi militari.
In questo articolo una panoramica della storia delle condanne a morte nella capitale e poi nel mondo, per poi intervistare alcuni cittadini sul tema durante l’ultimo giorno del 2023.
Le pene dovevano avvenire in modo pubblico ed essere crudeli ed esemplari
come ammonimento ai cittadini, con lo scopo di demotivandoli a compiere atti illeciti.
Le modalità scelte tra il Medioevo e il risorgimento erano soprattutto tramite impiccagione, decapitazione, rogo, mazzolamento, squartamento e fucilazione.
Nel diritto romano, oltre alle suddette (ad esclusione ovviamente della fucilazione) erano previste anche altre modalità atroci come la fustigazione fino alla morte, il taglio del corpo a pezzi, la crocifissione (riservata ai cittadini non romani), la damnatio ad bestias, ossia la condanna a essere divorati vivi dalle belve nelle arene. Una delle opzioni più assurde era quella di cucire il malcapitato in un sacco di pelle insieme ad animali come cani e vipere per poi essere gettato in acqua e morire quindi affogato.
Anche se storicamente a Roma ogni luogo poteva diventare spazio di esecuzioni, proprio per permettere che lo “spettacolo” potesse essere pubblico, le zone scelte ad un certo punto furono quelli che riuscivano ad accogliere un numero consistente di persone.
Tra questi troviamo Campo dei Fiori, deputato ai roghi, Ponte Sant’Angelo, Piazza del Popolo, via dei Cerchi, il Circo Massimo e tristemente famosa anche la rupa Tarpea di Monte Caprino al Campidoglio.
Anche se queste narrazioni sembrano ora qualcosa di lontano, in realtà Amnesty International ha segnalato che il 2022 è stato l’anno che ha registrato il numero più alto di esecuzioni negli ultimi cinque anni.
Attualmente la pena di morte è in vigore in cinquantatré Stati: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Barbados, Belize, Bielorussia, Botswana, Cina, Comore, Corea del Nord, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone, Giordania, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Pakistan, Palestina, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Sudan del Sud, Taiwan, Thailandia, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam, Yemen e Zimbabwe.
Secondo un rapporto di Amnesty sono sei gli Stati che, nel 2022, hanno abolito in tutto o in parte la pena di morte: Kazakhstan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zimbabwe per i reati comuni.
Alla fine del 2022, 112 stati avevano abolito la pena di morte per tutti i reati e altri nove stati l’avevano abolita per i reati comuni.
In passato abbiamo già parlato di Mastro Titta “er boja de Roma”, esecutore di morte dello stato pontificio.
Stavolta abbiamo intervistato alcuni cittadini romani su cosa pensassero relativamente alla pena di morte.
“Qual è la sua posizione riguardo la pena capitale?”
Piero V., 62 anni, portiere, quartiere S. Paolo: “Mi chiedo perché dovrei continuare a mantenere in galera, con le mie tasse, gente che ha ammazzato. Io sono a favore della pena di morte per quelli che uccidono.”
Maria C., 35 anni, insegnante, quartiere Garbatella: “Mi sembra assurdo che se ne debba parlare ancora. Paesi che si autodefiniscono civili come gli Stati Uniti applicano ancora la pena di morte e non mi sembra che le escalation delle violenze diminuisca.”
Federico P, 43 anni, avvocato, quartiere Prati: “È un atto atroce, che non fa onore a noi esseri umani. Da padre e non da avvocato, posso capire che a volte si faccia fatica a rimanere lucidi. È ovvio che se immaginassi ad esempio che qualcuno uccida mia figlia come è successo a Giulia (Cecchettin, ndr) potrei non avere più una posizione neutrale. Ma è lo Stato e la giustizia che devono essere al di sopra di tutto, attenendosi esclusivamente al diritto. Solo così possiamo sperare di agire come Paese civile.”
Alla vigilia di Capodanno, ci auguriamo che con la fine del 2023, i dati dei condannati sia in netta diminuzione, anche se le probabilità non sono molte: molte informazioni sono ancora inaccessibili visto che alcuni paesi, come la Cina, mantengono il segreto di Stato nonostante le numerose insistenze da parte dell’ONU di rendere trasparenti le notizie attinenti le esecuzioni.
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