Gialli irrisolti a Roma. Il “collezionista d’ossa” della Magliana
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In questo articolo vi racconteremo uno dei casi più controversi di cronaca nera a Roma che non ha ancora trovato una soluzione. Un caso che somiglia al film “Il collezionista di ossa”di Philip Noyce
In questo articolo stiamo per raccontarvi uno dei casi più controversi di cronaca nera a Roma che non ha ancora trovato una soluzione. Un caso che somiglia al film “Il collezionista di ossa” di Philip Noyce con Angelina Jolie, ma che coinvolge la periferia della capitale. Hollywood ci narra racconti simili, ma non dobbiamo andare troppo lontano.
Nel 2007, in via della Pescaglia nel quartiere Magliana (già noto per la banda criminale), in seguito ad un incendio in un canneto, viene ritrovato insieme ad un borsellino, delle chiavi, un portafogli e una carta d’identità, uno scheletro umano completo.
Inizialmente si pensa che le ossa siano appartenenti all’individuo indicato nella carta di identità, ossia al pensionato settantasettenne Libero Ricci, scomparso nel 2004. L’uomo era un decoratore artigiano e aveva lavorato spesso con aziende per il Vaticano.
Dagli esami emerge invece un dato inquietante: non solo lo scheletro non è riconducibile al Ricci, ma il dna rivela che è frutto della composizione di diversi cadaveri, tre donne e due uomini.
In pratica qualcuno ha composto un vero e proprio “puzzle” con le ossa di diverse persone.
Un rompicapo che riporta alla mente storie di serial killer, rituali satanici o semplicemente il gioco perverso di un necrofilo che ha recuperato i resti in un cimitero.
Non si trovano corrispondenze tra le persone scomparse e neanche tracce di zinco che generalmente si rilevano nei resti che sono stati in una bara.
Le ipotesi sono quindi molteplici ed è possibile che chi ha compiuto il gesto, abbia “lavorato” non solo a Roma.
Una collezione macabra, il cui caso è stato archiviato nel 2011 senza individuare il responsabile, sicuramente un esperto conoscitore dell’anatomia umana.
Nel 2018 è balzata alle cronache la notizia di un mercato proficuo di ossa umane, un traffico illegale dove ogni pezzo arriva a costare diverse centinaia di euro, anche migliaia. È possibile quindi che, anziché di un assassino, ci si trovi davanti a qualcuno che potrebbe avere semplicemente una passione oscura.
Rimane il mistero dei documenti collegati al pensionato scomparso: un elemento che rende paradossale il caso, già raccapricciante per il fatto che alcune ossa sembrano avere un vincolo di parentela con il Ricci, ma non abbiamo fonti per capire se sono state associate ad una persona specifica.
Dopo ben 16 anni, nessuno ha saputo dare una spiegazione.
Secondo dati online, dal 1974 sono circa 65.000 le persone scomparse in Italia e mai ritrovate, con una media di circa 16 individui al giorno. Dati che pongono diversi interrogativi, nella speranza che chi sparisce abbia scelto di non essere più rintracciabile come il “Fu Mattia Pascal” di Pirandello e non per essere decedute.
Intanto a Roma ancora ci si chiede chi possa essere stato ad abbandonare questo scheletro dalla storia conturbante.
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“Sta ‘n campana” si dice a Roma. Ma da dove arriva questa espressione?
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“Stare in campana” è un’espressione del dialetto romano che si utilizza per invitare qualcuno a prestare attenzione, ma da dove arriva questo modo di dire?
“Me raccomando, sta ‘n campana”, si usa dire a Roma. È un’espressione che viene utilizzata quando si invita qualcuno a tenere gli occhi aperti, a prestare attenzione. Più che un invito è una sorta di raccomandazione, un premuroso modo di dire che esprime affetto e legame emotivo. Per conoscere l’origine di questo detto romano bisogna però fare un passo indietro.
Roma è la città delle chiese, ce ne sono oltre quattrocento (uno dei tanti primati mondiali della capitale d’Italia) e sono collocate in tutte le piazze romane, tutte tranne quella di Campo de Fiori. Vista la presenza massiccia di luoghi dedicati alla fede c’è da aspettarsi un cospicuo numero di campane, ce ne sono infatti circa 1260 (secondo un calcolo fatto nel 1907) e per decenni hanno scandito e accompagnato la vita quotidiana dei cittadini romani. Oggi risuonano come un sottofondo e a stento ci si accorge dei loro rintocchi ma le campane in passato hanno svolto una funzione sociale anche piuttosto importante. Senza cellulari e orologi da polso era il campanaro a scandire i tempi delle città; le campane non invitavano solamente i romani alla preghiera nelle ore canoniche ma segnavano lo scorrere delle ore durante il giorno. Non solo, la voce grossa del battocchio annunciava eventi e risuonava in caso di urgenze; prestare attenzione alle campane era piuttosto importante e un orecchio puntato ai suoi rintocchi era sempre bene averlo.
Esiste quindi una relazione tra l’importanza di prestare attenzione alle campane e il detto “stare in campana”?
Con buona probabilità si, anche se non si hanno delle evidenze scientifiche. Le campane avevano un loro codice e i rintocchi suonavano delle ritmiche diverse a seconda delle situazioni. Erano un richiamo all’attenzione pubblica in caso di pericolo imminente come incendi, invasioni o minacce legate a calamità naturali. Ecco perché, presumibilmente, “stare in campana” è un chiaro riferimento allo “stare attenti al suono della campana”, l’unica, tempo addietro, in grado di avvisarci e proteggerci. A conferma di questa tesi ci viene in aiuto anche un altro detto legato all’accudimento e alla protezione: “Stare sotto una campana di vetro”. L’origine sembra essere la stessa infatti anche se in questa ultima espressione si nasconde spesso un eccesso di premura.
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