Lo sapevate? A Roma nel XVI e XVII secolo le lamentele si facevano attraverso le statue parlanti
Durante l’epoca papale non si poteva parlare tanto e liberamente (pena la morte) e così si cominciò a “far parlare” alcune particolari statue. Come funzionava questo sistema di lamentela anonima? Andiamo a scoprirlo insieme.
Lo sapevate? A Roma nel XVI e XVII secolo le lamentele si facevano attraverso le statue parlanti.
Durante l’epoca papale non si poteva parlare tanto e liberamente (pena la morte) e così si cominciò a “far parlare” alcune particolari statue. Come funzionava questo sistema di lamentela anonima? Andiamo a scoprirlo insieme.
Le statue parlanti di Roma sono una serie di statue (tradizionalmente sei) su cui, fin dal XVI secolo, i Romani affiggevano (e continuano tuttora ad affiggere) messaggi anonimi, contenenti per lo più critiche e componimenti satirici contro i governanti, messaggi spesso detti “pasquinate” dalla statua parlante più nota, il Pasquino.
La più famosa è certamente Pasquino, ma a Roma se ne possono trovare varie: Marforio nel cortile di Palazzo Nuovo in Campidoglio, l’Abate Luigi in Piazza Vidoni, Madama Lucrezia a lato della chiesa di San Marco in Piazza Venezia; il Facchino in Via Lata e il Babuino nell’omonima via. Un fenomeno molto diffuso che cominciò proprio con Pasquino. Dalla sua bocca, già dal XVI secolo, iniziarono ad uscire caricature di papi, prelati, nobili e approfittatori senza alcuno scrupolo di cui furono messi in piazza vizi, corruzioni e abusi.
Questi cartelli satirici anonimi venivano posti di notte in modo da poter essere letti dai passanti il mattino seguente.
Diventando originali portavoce delle denunce del popolo romano, queste sculture, di epoca diversa, si guadagnano il nome di “statue parlanti”, poi battezzate con nomi curiosi e specifici: Marforio, il Babuino, il Facchino, l’Abate Luigi, Madama Lucrezia e il Pasquino.
Spesso, tra di loro, le statue si rimandavano pungenti motteggi, da una parte all’altra della città.
Sistemate in vari luoghi del centro della Capitale, le Statue Parlanti nacquero in epoca pontificia quando il popolo cominciò ad appendere al collo di queste sculture cartelli con scritte satiriche, invettive e frasi umoristiche che miravano a deridere vari personaggi pubblici, tra i quali spesso anche il Papa. Le frasi erano rigorosamente di autori anonimi, per paura di essere puniti.
Presto i romani cominciarono a dare dei nomi a queste statue.
Originariamente dovevano essere molte di più, ma solo sei sono giunte a noi, meglio conosciute all’epoca come il Congresso degli Arguti. Non solo statue, ma personaggi dalla lingua lunga con i quali Roma si oppose all’arroganza e alla corruzione dei nobili e del clero attraverso l’arma più pacifica e allo stesso tempo tagliente, l’umorismo.
Le statue parlanti di Roma sono una serie di statue (tradizionalmente sei) su cui, fin dal XVI secolo, i Romani affiggevano (e continuano tuttora ad affiggere) messaggi anonimi, contenenti per lo più critiche e componimenti satirici contro i governanti, messaggi spesso detti “pasquinate” dalla statua parlante più nota, il Pasquino.
Sistemate in vari luoghi del centro della Capitale, le Statue Parlanti nacquero in epoca pontificia quando il popolo cominciò ad appendere al collo di queste sculture cartelli con scritte satiriche, invettive e frasi umoristiche che miravano a deridere vari personaggi pubblici, tra i quali spesso anche il Papa. Le frasi erano rigorosamente di autori anonimi, per paura di essere puniti.
La più celebre delle statue parlanti è sicuramente il Pasquino, da cui deriva il termine “pasquinate”, nome dato ai componimenti affissi sulle statue. Rinvenuta in piazza Navona alla fine del XV secolo, e databile probabilmente alla fine del I secolo d.C., la statua è parte di un gruppo scultoreo di epoca romana, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo colpito a morte da Ettore.
In occasione della festa di San Marco (25 aprile), la statua veniva abbigliata come una divinità e su di essa venivano affissi epigrammi nel corso di certami accademici che si tenevano nella piazza. L’origine del nome non è nota: secondo alcuni, Pasquino era un noto oste o artigiano della zona, famoso per per i suoi versi pungenti, o un docente di grammatica latina.
Divenne celebre a partire dagli inizi del XVI sec., quando venne prescelto come interprete dei malumori nei confronti dei papi, e si iniziò dunque ad appendere al suo collo dei cartelli con motti irriverenti nei confronti degli stessi.
Adriano VI ordinò che la statua venisse gettata nel Tevere, anche se alla fine si decise a desistere dal suo intento per timore di una sommossa popolare.
Non potendo dunque distruggerla, si pensò di tenerla sotto vigilanza per tutta la notte, così da identificare il sovversivo autore dei motti e condannarlo a morte.
Ma anche questa misura non fu in grado di fermare la vox populi, in quanto è da allora che altre statue cominciarono a parlare.
Nel cortile di Palazzo Nuovo in Campidoglio si trova l’imponente Marforio.
Si tratta di una statua colossale raffigurante una divinità maschile sdraiata sul bordo di una vasca, con lunga barba e un lungo mantello e una conchiglia nella mano sinistra. La figura viene interpretata come la personificazione di Oceano o di un fiume.
Databile al I secolo d.C., fu rinvenuta nel Foro Romano, presso l’Arco di Settimio Severo, nel XVI secolo.
Tra le statue c’è anche una donna: Madama Lucrezia è il mezzo busto di epoca romana con il volto sfigurato, alto circa 3 metri, posto all’angolo tra il Palazzo Venezia e la Basilica di San Marco, nell’omonima piazza.
La statua raffigura probabilmente la dea Iside. L’appellativo di Madama Lucrezia è di origine incerta: deriva forse da Lucrezia D’Alagno, amica di Alfonso d’Aragona e di Paolo II, o da una Lucrezia moglie di Giacomo dei Piccini da Bologna.
Vicino alla Chiesa di Sant’Atanasio dei Greci, si trova la statua di un sileno adagiato su un fianco, che per la sua bruttezza, fu ribattezzato Babuino, perché ricordava una scimmia.
Fa parte di una fontana, originariamente addossata alla facciata principale di palazzo Grandi. Il Babuino arrivò a competere con la più famosa statua di Pasquino, tanto che le sue invettive vennero chiamate anche “babuinate”.
In Via Lata si trova la statua parlante più recente, raffigurante un personaggio realmente esistito, denominato il Facchino.
Rappresenta un acquaiolo che sostiene un barilotto da cui fuoriesce l’acqua, con il tipico vestito cinquecentesco dei facchini, che riempivano botti e botticelle con l’acqua attinta dal Tevere o dalle tre bocche dell’antica fontana di Trevi, per distribuirla durante il giorno. La statua del Facchino, inserita in una piccola fontana, fu realizzata dallo scultore Jacopo Del Conte alla fine del 1500. Nelle ore notturne, il Facchino subì la deturpazione del viso, perché il popolo lo riteneva rassomigliante a Martin Lutero.
L’Abate Luigi è una statua romana senza testa, di epoca tardo imperiale, raffigurante un uomo togato, forse un magistrato. Dopo numerosi trasferimenti, la statua si trova attualmente in Piazza Vidoni.
Il nome sembra derivi dalla somiglianza con un sagrestano della vicina chiesa del Santissimo Sudario. In occasione del restauro del 2009, al tronco della statua è stata aggiunto il calco della testa realizzato negli anni ‘70 sulla base della copia conservata nel Museo di Roma in Trastevere.
Qualche esempio di lamentela: famosa è la domanda posta da Marforio in occasione delle razzie di tesori a Roma perpetrate da Napoleone all’inizio dell’Ottocento: «È vero che i Francesi sono tutti ladri?» e Pasquino: «Tutti no, ma Bona Parte». Foglietti più o meno grandi, forbiti o meno, che urlano lamentele, minacce, malumori diretti ai “capoccia” della Città Eterna.
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