La storia di Bagnoli, tra fallimento delle ambizioni industriali e ritrovamento di quelle turistiche

Dal nome dell’antica fonte termale Balneolum, questo quartiere di Napoli ha una storia particolarissima e fitta di avvenimenti. Qui si consuma il sogno di una città industriale, e al contempo si distrugge l’originaria vocazione di area turistica. Da piccolo borgo termale a città che oggi, nell’era post Italsider, prova a fatica a ricostruire la propria identità
Quanto si è discusso negli ultimi dieci anni e più di Bagnoli, dell’ex Italsider, della bonifica di un’area distrutta dall’inquinamento, della riqualificazione di un territorio che è bellissimo e che aveva e tutt’ora ha una forte e tradita vocazione turistica, vista l’amenità del paesaggio costiero. Ma che storia ha questo quartiere a ovest di Napoli? Il nome deriva della fonte termale Balneolum, la porta della città verso i Campi Flegrei.
La sorgente antica, ricordata ancora nel XII secolo dal medico poeta Pietro da Eboli per le virtù curative quasi miracolose, viene ‘riscoperta’ per caso, insieme a numerose altre, nel corso di lavori di dissodamento a metà Ottocento (1865): il proprietario fortunato, Carmelo Patania, coglie l’occasione per dar vita allo stabilimento termale di Balneolo. Nel 1888, ad opera del marchese Candido Giusso, proprietario terriero facoltoso, un intero quartiere residenziale ‘moderno’ cresce accanto al casale antico, grazie anche al completamento del primo tratto della ferrovia Cumana che collega al centro cittadino.
Quando, agli inizi del Novecento, il destino sentenzia la radicale cancellazione della vocazione originaria, Bagnoli è un piccolo borgo residenziale e di villeggiatura termale, immerso in una campagna luminosa e fertile, con piccole avvisaglie di attività industriali: nel 1853 Ernesto Lefevre impianta sulla spiaggia di Coroglio la prima industria chimica napoletana, a poca distanza dalle vetrerie di Melchiorre Bournique e di Vincenzo Damiani.
Tutto cambiò però radicalmente nel 1904, quando la legge per il Risanamento industriale di Napoli concepita dall’interprete più attivo e generoso del meridionalismo di quella stagione, Francesco Saverio Nitti, individua la piana di Bagnoli come il luogo più idoneo per lo sviluppo di un’impresa siderurgica di respiro internazionale: la vicinanza al mare è un requisito essenziale per l’approvvigionamento dei materiali ferrosi. Nasce, in pochi anni, l’Ilva (in seguito, Italsider), le villette di villeggiatura lasciano il terreno al quartiere operaio che diventerà per decenni il vessillo delle ambizioni industriali della metropoli che cambia e la roccaforte del movimento operaio organizzato. Sappiamo cosa ha lasciato la chiusura dell’acciaieria: il vuoto e il disastro ambientale.
La bonifica e i nuovi progetti di sviluppo in cantiere hanno ora la responsabilità e l’opportunità di ripartire dalle ricchezze formidabili che abbiamo rischiato di perdere per sempre. In conseguenza dei piani di industrializzazione ad occidente, nel 1913, il Comune concede alla Società edilizia Laziale i terreni di Fuorigrotta, dando avvio alla costituzione di un ‘nuovo’ quartiere – con il rione Duca D’Aosta (1914-1935) e il rione Miraglia (1930-1939) – che troverà assetto definitivo nel ventennio fascista. Per Bagnoli si è aperto ormai da anni un nuovo capitolo: la rinascita sulle ceneri dell’Italsider, il recupero esemplare del Parco Virgiliano in collina e la riconversione del vecchio molo siderurgico in palcoscenico irresistibile del golfo incantato invitano, finalmente, a ben sperare e operare.

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