La schiavitù nell’antica Roma: la lotta per la libertà.
Questa pratica disumana ha attraversato tutta la storia della civiltà romana, dalle sue origini fino alla sua caduta, ma non sono mancati momenti importanti di ribellione.
La schiavitù nell’antica Roma era un sistema complesso dove le persone erano trattate come proprietà. Sebbene gli schiavi fossero essenziali per l’economia e la società romana, la loro vita era caratterizzata da enormi difficoltà.
I Romani catturavano numerosi prigionieri durante le loro campagne militari, venivano venduti ai mercati, spesso per lavorare nelle terre agricole, nelle miniere o come servitori domestici. In altri casi, i Romani riducevano in schiavitù coloro che non erano in grado di pagare i debiti, o come pena per crimini.
Un bambino nato da una madre schiava diventava automaticamente schiavo, poiché la condizione di schiavitù si trasmetteva per linea materna.
La qualità della vita degli schiavi cambiava enormemente a seconda del loro ruolo: alcuni lavoravano in modo piuttosto duro, soprattutto nei latifondi dove la maggior veniva impiegata in ambito agricolo per la coltivazione.
Un ruolo fondamentale lo ebbero coloro che furono impiegati nel durissimo lavoro costruzione di strade, ponti, ed anche nell’edificazione di monumenti come il Colosseo. La ricchezza e il potere di molte famiglie aristocratiche erano costruiti anche sulla loro forza lavoro.
Quelli coinvolti nei servizi domestici (nelle domus) erano invece essenziali per l’amministrazione delle grandi ville e per il commercio, lavorando come cuochi, camerieri, governanti o assistenti nelle case delle famiglie aristocratiche.
Altri lavoravano come insegnanti, medici o amministratori e potevano godere di una vita relativamente migliore.
Molti schiavi subivano maltrattamenti, ma la loro condizione non era necessariamente destinata a rimanere invariata. I padroni potevano decidere di liberare uno schiavo, una pratica abbastanza comune che era vista come un atto di generosità o come una ricompensa per il servizio. La liberazione era ufficializzata con un atto legale, e lo schiavo liberato diventava un “liberto”.
Esistevano anche dei collegi di schiavi che, seppur subordinati, riuscivano a raccogliere somme per ottenere la propria libertà.
Nonostante la loro condizione di sudditanza e sottomissione, le ribellioni erano piuttosto frequenti. La più famosa di queste fu la “Rivolta di Spartaco” nel 73 a.C., detta anche “Terza guerra servile” in cui un gruppo di schiavi, guidati dal militare romano, si ribellò e riuscì a sconfiggere ripetutamente le forze romane, mettendo in difficoltà l’intero sistema. Anche se alla fine la rivolta fu schiacciata, essa rappresenta uno dei momenti più significativi della storia della schiavitù romana.
Gli schiavi erano considerati proprietà di un padrone e non avevano diritti legali. Tuttavia, la legge romana riconosceva che gli schiavi non erano privi del tutto di tutte le protezioni. Ad esempio, se un padrone uccideva il proprio schiavo, veniva considerato un crimine, anche se non allo stesso livello di un omicidio di un cittadino libero.
La schiavitù nell’Impero Romano iniziò a declinare durante l’era tardo-imperiale e l’avvento del cristianesimo, che promuoveva l’umanità e la carità.
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