Daniele Ventura: denunciò la mafia, sarà Cavaliere della Repubblica Italiana

Riconosciuta la prestigiosa onorificenza al giovane che si oppose alla mafia rifiutandosi di pagare il pizzo e denunciò i suoi aguzzini. L’onorificenza al Merito della Repubblica italiana, verrà insignita a Roma.
Daniele Ventura: denunciò la mafia, sarà Cavaliere della Repubblica Italiana.
Riconosciuta la prestigiosa onorificenza al giovane che si oppose alla mafia rifiutandosi di pagare il pizzo e denunciò i suoi aguzzini. L’onorificenza al Merito della Repubblica italiana, verrà insignita a Roma.

Daniele Ventura e Rita Chessa
“Questa notizia che mi ha tolto il sonno (dalla gioia) mi è stata annunciata qualche settimana fa, sono stato insignito dell’onorificenza a Cavaliere della Repubblica Italiana con decreto firmato dal Presidente della Repubblica su richiesta della Presidenza del consiglio, ringrazio il Presidente Mattarella e il Presidente Meloni e attendo di sapere quando salire al Quirinale per ricevere l’onorificenza. Sinceramente una grande emozione per ciò che rappresenta la massima Onorificenza dello Stato italiano, qualcosa che resterà per sempre. La voglio dedicare a mio figlio e a tutti quelli che lottano per qualcosa in cui credono”.
È con queste parole che Daniele Ventura, giovane imprenditore che si è opposto ai suoi presunti aguzzini, rende pubblico sui social uno dei riconoscimenti più prestigiosi dello Stato Italiano.

Daniele Ventura
Daniele ha anche scritto un libro significativo sulla sua vicenda dal titolo “Cosa nostra non è cosa mia” la storia di un bambino divenuto ragazzo che ha combattuto contro la sua paura più grande, una paura chiamata mafia. Da bambino Ventura è cresciuto a Brancaccio, un quartiere della periferia di Palermo tristemente noto per la sua delinquenza, il rione dove la mafia ha ucciso don Pino Puglisi, una zona con mille contraddizioni e tanta criminalità.
Daniele ricorda perfettamente quando uccisero Falcone e Borsellino, suoi punti di riferimento etici per il sogno di una Terra giusta.
Le sue denunce portarono all’arresto di alcuni presunti mafiosi a Palermo e segnarono anche l’inizio di un periodo travagliato. All’epoca era poco più che ventenne, ora sono trascorsi più di dieci anni da quando si presentarono in un bar nel quartiere Borgo Vecchio per intimargli di “mettersi a posto con gli amici della zona”. Un modo gergale per chiedere il pizzo, che inizialmente Daniele pagò, ma già il giorno seguente decise di comunicare l’accaduto ai Carabinieri e alla Direzione distrettuale Antimafia.
La voce della sua resistenza si diffuse rapidamente e purtroppo, a poco a poco, i clienti abbandonarono intimoriti il suo Bar per timore di ritorsioni e Ventura fu costretto molto presto a chiuderlo con ancora i debiti di impresa da pagare.
Siamo entrati in connessione con Daniele Ventura già in occasione del documentario “Davide e Golia”, progetto artistico che ha dato voce a chi si è opposto alle mafie.
Per Vistanet oggi incontriamo questo “eroe” contemporaneo che non vuole essere definito come tale perché “denunciare i soprusi dovrebbe essere la normalità e dovere di ogni cittadino”.
Sei riuscito in qualche modo ad ottenere un aiuto per i debiti?
“Non ho ottenuto grandi aiuti economici dallo Stato per i debiti contratti in seguito alle denunce e ho usato e sto ancora usando soldi personali per non essere perseguito dai vari enti”.
In questo momento stai lavorando?
“Sto lavorando nel privato ma solo grazie alle mie forze”.
Se potessi fare una richiesta diretta al Presidente della Repubblica che ti ha riconosciuto questa onorificenza, cosa gli chiederesti?
“Chiederei lo Status di Testimone di giustizia che non ho ricevuto”.
(Il testimone di giustizia, nell’ordinamento giuridico italiano, è una persona che decide di collaborare con la magistratura italiana fornendo informazioni utili relativamente ad indagini riguardanti reati e/o delitti. Si distingue dal collaboratore di giustizia perché non è stato coinvolto attivamente nei reati sui quali testimonia, tuttavia la legge, non dando una definizione formale del testimone, si limita a stabilire le condizioni ricorrendo le quali un soggetto possa essere ritenuto tale. I testimoni di giustizia, infatti, pur conoscendo le dinamiche malavitose e denunciandole, a differenza dei collaboratori di giustizia, non sono coinvolti direttamente in esse e, solitamente, non provengono dagli ambienti della criminalità ed occupano normali posizioni nel tessuto economico e sociale, risultando spesso impegnati in attività imprenditoriali. Alla loro tutela ed incolumità fisica provvede il servizio centrale di protezione, ndr).
Cosa pensi di questo importante riconoscimento?
“È qualcosa che mi riempie di orgoglio e che mi sento di dedicare a mio figlio e a tutti coloro che lottano per ciò in cui credono”.

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