Ricette dall’antica Roma: i Globi, dolci al formaggio. Prepariamoli insieme.

Con pochi ingredienti, è possibile ricreare un dolce che allietava i banchetti dei romani. La cremosità del formaggio combinata alla dolcezza del miele e all’aroma delle spezie riporta a una tradizione culinaria semplice ma ricca di fascino.

L’antica Roma non è solo nota per i suoi monumenti e la sua storia epica, ma anche la sua cucina che, pur essendo meno conosciuta, è ricca di sapori. I dolci erano una parte importante della dieta romana, soprattutto durante i banchetti, e uno dei più apprezzati erano i Globi, preparati durante il periodo dei Saturnalia (invitiamo a leggere l’articolo di Vistanet dedicato a questa ricorrenza). Gli ingredienti e le tecniche di preparazione dei dolci romani erano piuttosto semplici, ma i romani riuscivano comunque a creare piatti gustosi e sostanziosi.

Preparazione dei globi al formaggio: miele

La cucina romana non aveva accesso a molti degli ingredienti moderni, come lo zucchero, che arrivò in Europa solo molti secoli dopo e i dolcificanti principali erano il miele e la frutta secca o disidratata. I Globi erano dolcetti che combinavano il formaggio con ingredienti semplici, come miele e farina, per creare un dessert cremoso e gustoso. Solitamente venivano servite durante le festività o alla fine di un lauto pasto, simboleggiando l’abbondanza e la prosperità.

Preparazione dei globi al formaggio

Ingredienti tradizionali

Gli ingredienti dei Globi erano facilmente reperibili e alla portata dei romani e possiamo recuperarli anche oggi:

Formaggio fresco: spesso utilizzato anche per piatti salati, ma in questo caso combinato con miele per una versione dolce.

Miele: il dolcificante per eccellenza dell’antichità, indispensabile per ogni dessert romano.

Farina: per dare consistenza e struttura al dolce.

Uova: utilizzate per legare gli ingredienti e dare consistenza.

Spezie: a volte si aggiungevano aromi come semi di finocchio o foglie di alloro per profumare il dolce.

Ricetta

Se vuoi preparare i Globi a casa, ecco una versione semplice basata sui metodi dell’antica Roma.

Ingredienti

250 g di formaggio fresco (meglio se ricotta o pecorino fresco)

100 g di miele

50 g di farina di grano

2 uova

Una manciata di semi di finocchio (opzionale)
Scaglie di cocco (opzionale)

Procedimento

Preparazione del formaggio: inizia mescolando il formaggio fresco in una ciotola fino a ottenere una consistenza cremosa e liscia.

Aggiunta del miele: aggiungi il miele al formaggio e mescola fino a ottenere una miscela omogenea e dolce.

Incorporare le uova e la farina: aggiungi le uova, una alla volta, mescolando per amalgamare il tutto. Poi, aggiungi la farina gradualmente, fino a ottenere un composto morbido ma non troppo liquido.

Aromatizzare (opzionale): se desideri, aggiungi i semi di finocchio per dare un tocco aromatico, tipico di molti dolci romani.

Cottura: versa il composto in piccoli stampi o in un unico stampo grande e cuoci in forno preriscaldato a 180°C per circa 25-30 minuti, finché la superficie sarà dorata e il dolce ben compatto.

Una versione moderna prevede l’aggiunta, a piacere, di scaglie di cocco.
Lascia raffreddare leggermente e servi i Globi tiepidi, magari con un filo di miele in superficie.

foto: Pixabay

Esistono espressioni romane dall’origine incerta, ma che fanno ormai parte del linguaggio quotidiano. Questi neologismi sono oggetto di studio della sociolinguistica e raccontano molto dell’organizzazione ed il funzionamento della società umana.

Una in particolare è “pipinara”, che sta ad indicare una situazione di confusione, trambusto, tipica della folla disorganizzata. Queste parole particolari sono ambito della dialettologia e della semantica, nell’eterna contrapposizione tra due ipotesi: è il linguaggio a formare il pensiero o è il pensiero a strutturare il linguaggio?

In questi giorni, con il caldo torrido, la maggior parte delle persone appena può si reca fuori città ed è frequente sentire questa voce gergale soprattutto in spiaggia dove si incontrano frotte e bande di ragazzini chiassosi, gente accatastata sul fazzoletto del litoraneo laziale, alla ricerca di refrigerio e abbronzatura.

Secondo l’enciclopedia Treccani, la derivazione è onomatopeica, pipino in romanesco infatti sta per “pidocchio”. La parola del resto suggerisce l’idea di brulichio.

Anche Pierpaolo Pasolini riporta questa parola nel libro neorealista “Una vita violenta”: “nel cortile c’era la solita pipinara di tutti i giorni; Tommaso, però, tutta quella pipinara nemmeno la vedeva”.

Secondo altre versioni rimanderebbe al sostantivo “pigolio”, restituendo un’immagine di caos costante e fastidioso. Il concetto di “pipinara” è diventato comune durante la pandemia con il termine “assembramento”, un altro esempio tipico, infatti, è la calca dei mercati. Spesso questa espressione la si può ascoltare a Porta Portese: “co’ ‘sto caldo e ‘sta pipinara io là non ce vado”.

Viene utilizzata di frequente in presenza di bambini urlanti, magari che giocano tutti insieme in piscina.

È sinonimo di “caciara”, altro neologismo romano indicante caos. Non è chiaro se venisse utilizzato anche nei bordelli: il termine “casino” del resto, sta ad indicare rumori molesti.

Tendenzialmente “pipinara” ha intrinseco un soggetto collettivo che disturba la tranquillità, applicabile anche alla cosiddetta “cagnara”, in riferimento all’abbaiare simultaneo e fastidioso di diversi cani.

“A Trastevere la sera con tutta ‘sta pipinara non si riesce a dormire”.

Il padrone di una pizzeria di Testaccio ha confidato che un uomo al secondo piano di un palazzo ha lanciato dell’acqua alle persone in attesa fuori il locale perché facevano troppo rumore. L’impaziente signore avrebbe urlato prima dell’incauto gesto: “così la fate finita de fa’ ‘ sta c*** de’ pipinara!”.