“Io odio Roma”, l’avversione contro la città eterna in alcuni passaggi della Storia
Non ci riferiamo ad antipatici cliché che vedono contrapposizioni tra diverse città o rivalità pregiudiziali e/o politiche discutibili, ma faremo un piccolo viaggio storico, cercando di approfondire alcuni alterchi verso la Capitale.
“Io odio Roma”, l’avversione contro la città eterna in alcuni passaggi della Storia.
Non ci riferiamo ad antipatici cliché che vedono contrapposizioni tra diverse città o rivalità pregiudiziali e/o politiche discutibili, ma faremo un piccolo viaggio storico, cercando di approfondire alcuni alterchi verso la Capitale.
Roma è tra le città più amate ed odiate, ma non ci riferiamo ora ad antipatici cliché che vedono contrapposizioni tra diverse città o rivalità pregiudiziali e/o politiche discutibili, ma faremo un piccolo viaggio storico, cercando di approfondire alcuni alterchi verso la Capitale da parte di importanti personaggi della Storia.
È risaputo che sia stata odiata molto dai Greci assoggettati, ma meno noto è che anche alcuni romani stessi svilupparono astio verso Roma. Diversi personaggi furono esiliati od ostracizzati per opinioni ritenute scomode o sgradite.
Lucio Anneo Seneca, filosofo, drammaturgo e politico romano, tra i massimi esponenti dello stoicismo eclettico di età imperiale fu aspramente critico nei confronti del lusso e della corruzione della società romana. La ricerca smoderata del piacere, l’avidità e l’abuso del potere erano visti come comportamenti dannosi per l’individuo e la società nel suo insieme.
Lo stoico criticava l’enorme divario tra ricchi e poveri, condannava gli spettacoli crudi e l’uso della violenza per divertimento nelle arene e non sopportava l’avidità di potere degli imperatori. Seneca invitava gli individui a coltivare la virtù, ma riteneva che la società romana spesso trascurasse questi valori a favore del successo materiale e del prestigio sociale.
Uno dei momenti più amari nella vita di Cicerone fu il suo esilio da Roma nel 58 a.C, causato dalle sue posizioni politiche e dei suoi discorsi contro il console Publio Clodio Pulcro. Non fu un vero e proprio odio, piuttosto dolore per essere stato allontanato dalla sua città natale. Lo si evince dalle numerose lettere che scrisse in cui esprimeva la sua tristezza.
Tra le raffigurazioni più significative sul tema, ricordiamo un famoso dipinto di Giambattista Pittoni, realizzato nel 1723 ed esposto nella collezione permanente del Pinacoteca di Brera a Milano, rappresentante il cartaginese Annibale nell’atto di giurare odio ai romani.
Ovviamente il suo odio era principalmente rivolto alla Repubblica Romana ed al suo espansionismo, piuttosto che a Roma come città o cultura.
Suggestivo il discorso, nell’Agricola di Tacito capitolo XXX, attribuito a Calgàco, il capo del popolo dei Caledoni che si scontrarono, nell’anno 83, nella Scozia settentrionale, con le truppe romane del governatore della Britannia, Gneo Giulio Agricola.
Ne riportiamo un pezzo:
“Noi, che siamo al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall’isolamento e dall’oscurità del nome. Ora, tuttavia, si aprono i confini ultimi della Britannia e l’ignoto è un fascino. Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, ma soltanto scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i romani, contro la cui prepotenza non servono come difesa neppure la sottomissione e l’umiltà. Razziatori del mondo, adesso che la loro sete di universale saccheggio ha reso esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare. Loro bramano possedere con uguale smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Fanno il deserto, e lo chiamano pace.”
In foto: Giambattista Pittoni,1723, Annibale giura odio a Roma – Wikipedia, Pinacoteca di Brera
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