Detti e modi di dire romaneschi: “Stai a guardà er capello?”
Oggi andiamo a vedere e ad analizzare l'espressione "Che stai a guardà er capello?", un modo di dire vecchissimo che affonda le sue radici nella Roma del Cinquecento, quando i popolani romani finivano le loro serate nella famose osterie a bere vino in grande quantità. Vediamo in modo più preciso perché a Roma si usa questo detto.
Detti e modi di dire romaneschi: “Stai a guardà er capello?”
Il dialetto romanesco è un dialetto unico, molto divertente, che ha una grammatica tutta sua. Molti di questi modi di dire hanno retaggi ancestrali, che risalgono a secoli fa. Sono nati tra il popolo e per il popolo ma ancora oggi vengono utilizzati in città e hanno una loro valenza oltre che un fortissimo potere evocativo.
Ci sono gli insulti, i modi di dire e poi quelle frasi romanesche tipiche, mutuate da ambientazioni e situazioni che non esistono più ma che spesso vengono riprese anche in circostanze attuali.
Oggi andiamo a vedere e ad analizzare l’espressione “Che stai a guardà er capello?”, un modo di dire vecchissimo che affonda le sue radici nella Roma del Cinquecento, quando i popolani romani finivano le loro serate nella famose osterie a bere vino in grande quantità. Vediamo in modo più preciso perché a Roma si usa questo detto.
Letteralmente “Stai a guardà er capello” significa “Guardare il capello” quindi guardare il dettaglio, soffermarsi su una cosa piccola. I romani quindi lo utilizzano nei confronti di chi fa il puntiglioso, colui che si impunta su una cosa minima, sicuramente trascurabile.
Questo detto nasce nelle osterie, tra il 1500 e il 1600, in una Roma quindi che non esiste più. I romani, soprattutto i popolani e i meno abbienti, la sera (ma anche in altre ore del giorno) frequentavano le osterie della città, che spesso erano delle vere e proprie taverne, luoghi non proprio di classe, con qualche tavolo e panche di legno, nelle quali si mangiava qualcosa e soprattutto si beveva per pochi soldi del vino. Le osterie erano spesso frequentate da persone poco raccomandabili, gente di malaffare e ubriaconi, che spesso, grazie anche al potere dell’alcol, litigavano, talvolta anche per le quantità di vino distribuite.
L’oste lo serviva in caraffe di terracotta o di metallo che non facevano vedere ai commensali quanto vino, effettivamente, veniva versato. Per questo spesso, partivano accuse reciproche, che degeneravano in risse. Nel 1588, Papa Sisto V, per mettere fine a questi tafferugli, sostituì le caraffe di terracotta e di metallo con dei recipienti di vetro, trasparenti, i quali, attraverso un apposito segno (appunto il “capello”) potessero mostrare la quantità di vino versato. I recipienti di vetro furono classificati in base alla loro misura e così nacquero il Tubo (1 litro), la Foglietta (1/2 litro), il Quartino (1/4 litro), il Chirichetto (1/5 litro) e il Sospiro (1/10 litro).
Come accennato er capello era quella piccola linea, una riga in rilievo o incisa, che indicava la quantità di vino da versare.
“Aho, ma che stai a guardà er capello?”. Questa celebre espressione romana viene quindi dal mondo del vino ma ha un significato più ampio che a Roma viene ancora utilizzato per rimproverare le persone esageratamente scrupolose.
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