Accadde oggi: il 21 dicembre 1863 morì il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli

In ricordo della ricorrenza della morte del grande poeta che celebrò i romani con i suoi sonetti.
Accadde oggi: il 21 dicembre 1863 morì il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli.
In ricordo della ricorrenza della morte del grande poeta che celebrò i romani con i suoi sonetti.
Compose 2279 sonetti romaneschi in vernacolo divenendo un punto di riferimento per la verace romanità del 1800.
A Roma, a via dei Redentoristi puoi leggere la targa in memoria della sua nascita a palazzo Capranica e a Piazza Sonnino a Trastevere c’è un imponente monumento a suo nome.
Immaginare i poeti figli di famiglie abbienti non è troppo lontano dalla realtà: chi può usufruire del tempo è spesso chi ha maggiori strumenti e risorse e il Belli ebbe la fortuna di nascere nel 1791 in un contesto privilegiato pur conoscendo difficoltà economiche con la morte del padre Gaudenzio Belli ed una storia costellata di numerosi lutti. Prima di approdare alla poesia e alla letteratura si arrangiò con diversi lavori.
Inizialmente affrontò tematiche già ampiamente speculate sulla natura per poi prendere parte a movimenti ed Accademie (anche piuttosto politicizzate ed usando anche diversi pseudonimi) e dedicarsi alla stesura di sonetti, poemetti, versi, canti e pezzi teatrali.
La tranquillità economica la raggiunge comunque ottenendo dapprima un impiego all’Ufficio del registro e convolando a nozze con Maria Conti, una donna benestante. Iniziò quindi a viaggiare, cosa che lo spinse dapprima a licenziarsi e poi ad approfondire le potenzialità espressive del dialetto.
Non tutti sanno che assunse anche lo sciagurato ruolo di presidente presso l’Accademia Tiberina dove fu responsabile della censura e si ritrovò a vietare opere di Shakespeare.
Per visitare la tomba di Giuseppe Gioachino Belli, morto a Roma nel 1863, ci si può recare presso il cimitero del Verano. Fortunatamente il figlio non rispettò le sue disposizioni, secondo le quali le sue opere dovessero essere bruciate ed ora possiamo ancora godere dei suoi componimenti, in particolare “I Sonetti romaneschi” un vero e proprio monumento alla plebe di Roma della quale diceva: “In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene un’impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza”.
Una poetica caratterizzata da realismo con i suoi 32.000 versi, che sono più del doppio di quelli della Divina Commedia e tradotti in moltissime lingue a testimonianza di una romanità che diviene anche in questo internazionale.

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