Monumenti romani: il Faro del Gianicolo, costruito dagli Italiani che emigrarono in Argentina
Sul Colle del Gianicolo, uno dei punti panoramici più belli della Capitalesi trova una delle curiosità più affascinanti e meno conosciute di Roma: il Faro degli italiani d’Argentina. Opera particolare e non molto famosa, nel tempo ha dato vita a un detto molto simpatico.
Monumenti romani: il Faro del Gianicolo, costruito dagli Italiani che emigrarono in Argentina.
Sul Colle del Gianicolo, uno dei punti panoramici più belli della Capitalesi trova una delle curiosità più affascinanti e meno conosciute di Roma: il Faro degli italiani d’Argentina. Opera particolare e non molto famosa, nel tempo ha dato vita a un detto molto simpatico.
Nel centro di Roma da più di cento anni c’è un faro, sconosciuto a molti. Questo curioso monumento non serve per la navigazione (e che ha anche dato vita a un curioso detto in dialetto romanesco).
Il Faro del Gianicolo, chiamato anche Faro di Roma oppure Faro degli italiani d’Argentina, si trova esattamente nel rione di Trastevere. Situato a decine di chilometri dalla costa, non serve alla navigazione, ma è uno dei monumenti più noti del parco del Gianicolo.
Fu realizzato nel 1911 dall’architetto Manfredo Manfredi e si tratta di un’opera dal grande valore simbolico: sistemato nel luogo dove avvennero gli scontri per la difesa della Repubblica romana del 1849, fu donato alla città dalla comunità di Italiani di Buenos Aires, come testimonianza del legame con la patria di origine, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia e per celebrare Roma Capitale.
È costruito in marmo botticino: su un basamento circolare si erge una colonna cannellata che costituisce il corpo principale della costruzione. Più in alto, il capitello della colonna si conclude con un abaco a pianta circolare riportante la seguente dedica, un’iscrizione scolpita intorno al capitello: «A ROMA CAPITALE – GLI ITALIANI D’ARGENTINA – MCMXI».
Furono i membri del comitato a finanziare il progetto: l’Argentina era all’epoca un paese molto ricco e anche la meta dell’emigrazione italiana per antonomasia. Il comitato offriva anche di assicurare l’alimentazione della lanterna, che avrebbe funzionato a olio.
I promotori si erano rivolti a Manfredo Manfredi non solo in funzione di architetto, ma anche di deputato.
Il capitello è sormontato da quattro volute coronate da teste di felino e collegate tra di loro da altrettanti festoni. Sopra tutte queste componenti si trova la lanterna in vetro. All’interno, non accessibile al pubblico, una scala a chiocciola conduce dall’entrata del faro alle parti superiori. La salita si conclude con una scala a pioli.
Il faro è in tardo stile neoclassico.
A questo proposito, sulla base delle decorazioni della costruzione, da ricordare la curiosità relativa al detto in dialetto romanesco “sembri er faro der Giannicolo”, quando si vuole indicare una persona vestita in maniera eccentrica e con un look stravagante.
L’opera è alta 20 metri e ha una base circolare dal diametro di 10 metri.
La lanterna durante le feste nazionali e le ricorrenze speciali, illumina in modo suggestivo la notte capitolina con luce verde, bianca e rossa, simbolo del tricolore italiano.
Questo straordinario evento ha dato origine alla spiritosa espressione romana “sembri il faro del Gianicolo”, usata per indicare una persona eccentrica e dal look stravagante.
Un’altra curiosità: una caratteristica consuetudine del passato è legata alla balconata del Faro, rivolta verso lo storico carcere di Regina Coeli: i familiari dei detenuti erano soliti mandare messaggi ai propri cari, gridando a gran voce notizie urgenti; una pratica vietata, ma tollerata dalle forze dell’ordine per comunicazioni importanti come nascite o morti.
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