La prima a Roma per The “Last Rave”, documentario di Ruggeri su un fenomeno mondiale
Un documentario sui rave party, movimento e scena underground estrema: è “The Last Rave, a free party story” di Alessandro Ruggeri, che non si limita a fotografare una delle ultime espressioni artistiche del ‘900, ma scava sul fenomeno antropologico della festa come rituale. Prodotto dalla Sarastro Film di Andrea Scarcella e Andrea Pirri Ardizzone in coproduzione con Carlofilippo Zamboni di Salerano e Perla Valerie Oizere, è stato girato fra l’Italia, la Germania e la Francia nel giro di tre anni. Abbiamo assistito alla presentazione romana, prima tappa del tour con appuntamenti in tutta Italia. Tra gli osservatori della scena dei rave e presente alla prima, il professor Massimo Canevacci, ex insegnante di antropologia culturale all’Università La Sapienza di Roma, etnografo e pensatore critico italiano.
Articolo di Rita Chessa.
Un documentario sui rave party, movimento e scena underground estrema: è “The Last Rave, a free party story” di Alessandro Ruggeri, che non si limita a fotografare una delle ultime espressioni artistiche del ‘900, ma scava sul fenomeno antropologico della festa come rituale.
Prodotto dalla Sarastro Film di Andrea Scarcella e Andrea Pirri Ardizzone in coproduzione con Carlofilippo Zamboni di Salerano e Perla Valerie Oizere, è stato girato fra l’Italia, la Germania e la Francia nel giro di tre anni.
Abbiamo assistito alla presentazione romana, prima tappa del tour con appuntamenti in tutta Italia.
Tra gli osservatori della scena dei rave e presente alla prima, il professor Massimo Canevacci, ex insegnante di antropologia culturale all’Università La Sapienza di Roma, etnografo e pensatore critico italiano. Noto per i suoi lavori sulle metropoli, le culture ‘native’ e le arti digitali, ha vissuto per molti anni in Brasile dove ha portato avanti i suoi studi presso l’Istituto di Studi Avanzati dell’Università di São Paulo.
Ricco di interviste ai protagonisti, tra cui ad Anna Bolena, (all’anagrafe Antonella Pintus) Dj producer sassarese trasferitesi a Roma nel 1989 ed organizzatrice di numerosi free party nella capitale.
Fenomeno che si è rivelato essere come una vera e propria espressione controculturale antirepressiva a ritmo di elettronica e propagatosi nel mondo dalla Londra della fine degli anni ‘80 con l’idea di creare un posto libero di condivisione. I rave party giungono in Italia negli anni 2000, con le prime feste completamente illegali in capannoni e fabbriche abbandonate nelle periferie. Si tratta di eventi musicali totalmente autogestiti, cresciuti a dismisura al punto da accogliere migliaia di persone.
Dalle note di produzione leggiamo: “la decisione di realizzare un documentario sul movimento dei free parties europei nasce dall’esigenza di restituire dignità e bellezza ad un fenomeno che è sempre stato ripreso dalle cronache nelle sue immagini più scabrose e sensazionalistiche, senza indagare le reali cause ed effetti di questo controverso fenomeno socio-culturale”.
Nel film si attraversa il passaggio dall’analogico al digitale, la riappropriazione fisica degli spazi, gli stati indotti di alterazione di coscienza, la musica fatta di sonorità incalzanti che possono andare avanti per giorni e che rimandano al ritmo prodotto dai tamburi delle più antiche forme di ballo rituale.
Il film ci suggerisce che sia la sovversiva molla propulsiva delle origini che l’esplosione creativa sono notevolmente cambiate, nel passaggio dall’essere un movimento di nicchia al diventare di massa, con l’inserimento di molti contenuti nel circuito commerciale.
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Lo sapevate? La Colonna Traiana rischiò di essere smontata e portata a Parigi
La Colonna Traiana è un monumento innalzato quasi duemila anni fa a Roma per celebrare la conquista della Dacia (l'attuale Romania) da parte dell'imperatore Traiano. Si tratta della prima colonna coclide mai innalzata, uno dei capolavori dell'arte imperiale. Durante l'occupazione francese rischiò di essere smontata e portata a Parigi. Ecco perché.
Lo sapevate? La Colonna Traiana rischiò di essere smontata e portata a Parigi.
La Colonna Traiana è un monumento innalzato quasi duemila anni fa a Roma per celebrare la conquista della Dacia (l’attuale Romania) da parte dell’imperatore Traiano. Si tratta della prima colonna coclide mai innalzata, uno dei capolavori dell’arte imperiale. Durante l’occupazione francese rischiò di essere smontata e portata a Parigi. Ecco perché.
Queste erano le intenzioni del capo militare a Roma di Napoleone, il generale François René Jean de Pommereul.
Un proposito bloccato dagli elevatissimi costi di trasporto e dagli ostacoli amministrativi pontifici che ne rallentarono il processo. I francesi quindi innalzarono la Colonna Vendôme, eretta nel 1810 a Parigi da Napoleone I dopo la Battaglia di Austerlitz a imitazione di quella innalzata a Roma, in onore di Traiano.
La colonna che si trova nel Foro di Traiano, in posizione nord del Foro Romano, fu inaugurata nel 113 ed è formata da un lungo fregio spiraliforme che si avvolge, dal basso verso l’alto, su tutto il fusto della colonna e descrive le guerre di Dacia (101-106).
Il fregio ricordava a tutti le imprese di Traiano celebrandolo come comandante militare in guerra.
La Colonna rimase sempre in piedi anche dopo la rovina degli altri edifici: Le fu sempre attribuita grande importanza: un documento del 1162 ne stabiliva la proprietà pubblica e ne proibiva il danneggiamento.
Nel 1587 fu sistemata sulla sommità del fusto la statua in bronzo di San Pietro opera di Domenico Fontana e fu eretto un muro di recinzione.
La colonna (in stile dorico rivisitato) è alta 100 piedi romani, cioè 29,78 metri, 39,86 metri circa se si include l’alto piedistallo alla base e la statua alla sommità.
La colonna è costituita da 18 colossali blocchi in Marmo di Carrara, ciascuno dei quali pesa circa 40 tonnellate ed ha un diametro di 3,83 metri.
Sono 17 rocchi, più la base, il capitello e l’abaco. In origine sulla sommità era collocata una statua bronzea di Traiano.
Agli angoli del piedistallo sono disposte quattro aquile, che sorreggono una ghirlanda di alloro. Al di sotto dell’epigrafe si trova la porta che conduce alla cella interna al basamento, dove vennero collocate le ceneri di Traiano e della consorte Plotina e dove comincia una scala a chiocciola di 185 scalini per raggiungere la sommità, dove in un viaggio romano salì anche Goethe. La scala venne illuminata da 43 feritoie a intervalli regolari, aperte sul fregio ma non concepite all’epoca della costruzione.
I 200 metri del fregio istoriato continuo (che era policromo con inserti di piccole armi di bronzo, perdute) si arrotolano intorno al fusto per 23 volte, come se fosse un rotolo di papiro o di stoffa, e recano circa 100-150 scene (a seconda di come si intervallano) animate da circa 2500 figure. Sono rappresentate non solo le scene delle battaglie, ma anche gli altri momenti della campagna di Dacia, rappresentate con estrema minuzia nei dettagli.
All’interno della Colonna Traiana, come detto, c’è una scaletta a chiocciola con 185 scalini necessari per raggiungere la sommità. In cima si apre una terrazza, con vista mozzafiato, che può ospitare addirittura 30 persone. In un suo viaggio romano salì anche il grande letterato tedesco Goethe.
La Colonna rimase sempre in piedi anche dopo la rovina degli altri edifici. Le fu sempre attribuita infatti grande importanza: un documento del 1162 ne stabiliva la proprietà pubblica e ne proibiva il danneggiamento. Tutta la colonna pesa 1036 tonnellate.
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