Una notte al quartiere Coppedè, misterioso gioiello di Roma

Vivere Roma di notte è un’esperienza suggestiva e ci sono luoghi che, più di altri, al calar del sole incrementano il loro fascino. Uno di questi è quello che viene chiamato quartiere Coppedè.
Una notte al quartiere Coppedè, misterioso gioiello di Roma.
Articolo di Rita Chessa.
Vivere Roma di notte è un’esperienza suggestiva e ci sono luoghi che, più di altri, al calar del sole incrementano il loro fascino. Uno di questi è quello che viene chiamato quartiere Coppedè.
Giungo con la macchina in zona Trieste, nell’isolato compreso fra via Tagliamento, via Arno, via Ombrone, via Serchio e via Clitunno. Trovo posto poco distante da questo piccolo gioiello costituito da diciotto palazzi e ventisette palazzine ed edifici che prende il nome da Gino Coppedè, l’architetto che l’ha progettato, su commissione della Società Anonima Edilizia Moderna, tra il 1915 ed il 1927.
Arrivo a piedi a piazza Mincio con al centro la Fontana delle rane che mi catapulta nel mondo delle favole insieme ai Villini delle fate, ispirati a Firenze, con rappresentazioni di Dante e Petrarca.
Vicino al Palazzo del ragno è parcheggiata un’auto con due ragazze ed un ragazzo, probabilmente liceali, che ascoltano musica e cantano a voce alta canzoni un po’ fuori dal loro tempo.
“Potrebbero essere miei figli, sono canzoni che andavano di moda quando avevo la loro età, magari è l’influenza dei loro genitori. Strano che mettano su Masini, Jovanotti e Baglioni” dico rivolgendomi a Guido, un uomo del posto che ci risponde:
“È ancor più strano se pensi che i Beatles fecero il bagno proprio nella fontana delle rane, dopo una serata al Piper vicino”. Mi risponde lui ridacchiando.
In questo luogo misterioso la coesistenza e commistione di mondi lontani si riflette nelle influenze dei diversi stili dell’architettura che ci circonda: liberty, barocco, riferimenti alla Roma antica e medioevale. Soltanto attraversare l’arco monumentale che unisce i Palazzi degli ambasciatori è un’esperienza che nutre gli occhi con l’edicola esterna, la statua della Madonna con Bambino, la maschera della Minerva, il dipinto delle Vittoria alata ed il grande lampadario in ferro battuto.
Per la sua particolare atmosfera fiabesca-noir fu ambientazione dei film dei registi Dario Argento, Richard Donner e Francesco Barilli. Del resto il cinema fu suggestivo per questo luogo: sono in pochi a sapere che Coppedè fu ispirato, per la progettazione di questo posto, dal film muto “Cabiria” di Giovanni Patrone del 1914, la cui sceneggiatura fu scritta da Gabriele D’Annunzio.
Rubo con gli occhi tutto quel che posso scorgere in questo piccolo fazzoletto di sogno ricco di decorazioni fatte di stemmi, torri, donne, putti, falchi e falconieri, api, fiori, velieri, maschere, grifoni. Non sembrano essere affatto simboli casuali, qualcuno ha ipotizzato che potessero anche avere una valenza esoterica e massonica. In effetti troviamo riferimenti al lavoro, alle arti ed ai mestieri.
“Al terzo piano della Torretta dei Palazzi degli Ambasciatori vi è una decorazione di una coppa che ricorda il Santo Graal” Guido con queste parole inconsapevolmente ha aggiunto un nuovo enigma al mistero. In questo posto il confine tra realtà e fantasia è molto labile.
I ragazzi nella piccola decappottabile fumano la sigaretta elettronica e vestono con sobria eleganza. “A me piace guardare le serie americane d’amore” afferma una di loro. L’altra risponde: “la nostra amicizia è fuori discussione, ma i nostri gusti sono due rette parallele che non si incontreranno mai”.
Poco distante, sotto Palazzo Ospes Salve, un senzatetto cerca riparo dal freddo.
E ancora una volta le situazioni in netta contrapposizione sembrano essere speculari e fanno riflettere.

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