Monumenti romani: la chiesa di Santa Sabina, una delle più belle e misteriose della città
Monumenti romani: la chiesa di Santa Sabina, una delle più belle e misteriose della città. La chiesa di Santa Sabina, costruita nel V secolo sulla tomba della Santa, è una delle chiese paleocristiane meglio conservate di Roma. Santa Sabina
Monumenti romani: la chiesa di Santa Sabina, una delle più belle e misteriose della città.
La chiesa di Santa Sabina, costruita nel V secolo sulla tomba della Santa, è una delle chiese paleocristiane meglio conservate di Roma. Santa Sabina era una nobile romana martirizzata dopo la conversione al Cristianesimo. La chiesa e il convento conservano alcuni segreti di grande fascino, scopriamoli insieme.
Immersa nella splendida cornice del Colle Aventino, tra ville e gli aranci dell’omonimo giardino, viene scelta come luogo per il matrimonio di molte coppie, incantate dal fascino e dalla raffinatezza dell’edificio.
Una particolarità della basilica, che si trova in piazza Pietro d’Illiria, è quella di non avere una facciata, che è inglobata nell’atrio e vi si accede attraverso un portale preceduto da un portico con tre arcate. L’interno si presenta con tre navate divise da 24 colonne antiche dominate da 34 finestre e con abside semicircolare in corrispondenza della navata maggiore, quest’ultima dotata di un moderno soffitto a cassettoni, mentre in origine era rivestita da mosaici.
Nel lato sinistro della Basilica è posizionata una piccola colonna tortile biancastra. Sopra questa antica colonna c’è una pietra nera a forma di ovale che somiglia a una di quelle strane “pentole” che vengono utilizzate nel curling, lo sport invernale più particolare che si conosca. La pietra presenta buchi e incisioni e viene chiamata “lapis diaboli”, pietra del Diavolo. Si narra che fu usata dal Demonio.
Si tratta di una struttura religiosa molto importante sotto l’aspetto storico e artistico, dalle eccezionali caratteristiche architettoniche e decorative e i visitatori (tantissimi, prima della pandemia) rimangono estasiati davanti a tanta bellezza ma raramente sono attratti da questa curiosa pietra poggiata sulla colonna. La pietra grazie allo sfregamento dei fedeli appare lucidissima.
Ma perché questa pietra dovrebbe essere appartenuta al Diavolo?
Secondo la leggenda il Diavolo in persona tentò più volte San Domenico che pregava, in estasi, all’ingresso della chiesa di Santa Sabina. Nonostante tutti gli sforzi non riuscì a farlo peccare e allora arrabbiatissimo gli lanciò contro un pesantissimo blocco di basalto nero che fortunatamente non colpì San Domenico e finì su una lastra, che risulta tuttora spaccata.
Sulla pietra sono ancora visibili i segni lasciati dalle dita incandescenti del demonio.
La storia andò così: nel 1220 San Domenico e il suo seguito di frati, che occupavano il complesso di Santa Sabina, si imbatterono più volte nel Demonio. Una sera, mentre Domenico pregava inginocchiato per terra, il Diavolo decise di passare ai fatti. Ma la pietra, come detto, sfiorò solamente il Santo e il Diavolo fu costretto ad andarsene frustrato. Pare comunque che, di tanto in tanto, torni in questo luogo per trattenersi sulla porta della basilica prima di andarsene sconsolato. Un’altra curiosità riguarda sempre San Domenico, che ha impiantato proprio nel cortile della Basilica la prima pianta di arance arrivata in Italia.
A noi le leggende piacciono tanto e questa è la storia che per secoli ha affascinato i fedeli, ma la realtà ci dice che la pietra non è altro che il peso di una bilancia romana trovato nei sotterranei e la lastra fu rotta nel 1527 dall’architetto Domenico Fontana durante un restauro.
Un altra particolarità interessante della chiesa, o meglio del suo convento, dove è conservato il primo arancio piantato in Italia, tuttora il più vecchio d’Europa.
L’arancio lo portò infatti San Domenico dalla Spagna (suo paese d’origine, era nativo di Careluega, 1170) e qui fu trapiantato nel lontano 1220 (fino al XIII secolo la pianta d’arancio era sconosciuta in Europa).
Domenico di Guzman, fondatore nel 1215 a Tolosa dell’Ordine dei Predicatori (meglio conosciuti come “Domenicani”) qui visse e operò.
Accadde oggi: 25 Marzo 1923, nasce l’attore Mario Brega, simbolo della romanità più verace
Accadde oggi: 25 Marzo 1923, nasce l’attore Mario Brega, simbolo della romanità più verace.
Il 25 Marzo 1923 è nato a Roma l’attore Florestano “Mario” Brega, una delle figure artistiche più iconiche della Capitale, un attore impossibile da dimenticare nonostante sia morto da quasi 27 anni. Ha lavorato con Sergio Leone, Carlo Verdone e tanti altri: Mario Brega è stato (ed è ancora) un genuino ed indimenticabile rappresentante di questa città.
Attore eclettico e dinamico viene ricordato soprattutto nella trilogia del dollaro di Sergio Leone e nei film di Carlo Verdone.
Di estrazione popolare, figlio del falegname ed ex atleta olimpico (corse i 5.000 e 10.000 metri) Primo Brega, esordisce nel cinema come caratterista, avvalendosi della sua corporatura imponente e dell’aspetto burbero. Coltivava il sogno del cinema sin da bambino. Approda al cinema come caratterista. Negli anni Cinquanta la sua passione per la recitazione lo porta a chiedere un ruolo a chiunque si occupasse di cinema: “Maestro, me provi” era diventato il suo biglietto da visita. È il 1957 e i provini del film L’uomo di paglia erano arrivati quasi alla fine e al regista Pietro Germi occorrono altri attori. C’è una scena in cui Germi stesso, coinvolto in una rissa, viene “salvato” da un passante. Per quel ruolo si presenta anche un 34enne attore romano. “Nome?”, chiede Germi. “Mario Brega”, la risposta. “Bene: c’è questa rissa. Dica la prima cosa che le viene in mente per intervenire…”. Dopo una breve pausa, in silenzio e sguardo fisso, la voce di Brega risuona per decine di metri: “Mortacci tua… A fio de ‘na mignotta”. Brega venne scritturato all’istante.
Nella prima fase si ricorda la sua partecipazione al film La marcia su Roma (1962) di Dino Risi, in cui interpreta il ruolo del truce fascista Marcacci, detto il Mitraglia, e il piccolo ma cupo ruolo di ergastolano in Detenuto in attesa di giudizio (1971) con Alberto Sordi. Appassionato di pugilato, interpreta un piccolo ruolo di manager nell’episodio La nobile arte del film grottesco I mostri (1963) di Dino Risi.
Con Sergio Leone recita nei ruoli di Chico in Per un pugno di dollari (1964), di El Niño in Per qualche dollaro in più (1965) e del caporale dell’esercito nordista Wallace in Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Il successo arriva nel 1964 con l’avvio degli Spaghetti Western. Nel film Per un pugno di dollari interpreta Chico e sul set, Sergio Leone, lo fa recitare in romanesco. In Per un pugno di dollari e in Buffalo Bill – L’eroe del Far West recita con lo pseudonimo di Richard Stuyvesant. Recita anche il ruolo di uno dei quattro sicari che vanno alla ricerca di Noodles (Robert De Niro) nel teatro cinese, all’inizio di C’era una volta in America.
Durante la lavorazione di Buffalo Bill, l’eroe del Far West (un film del 1964 diretto da Mario Costa), in una scena di lotta con l’attore americano Gordon Scott, si racconta che Brega avrebbe steso l’attore con un solo pugno.
Dopo un fortuito incontro in casa di Sergio Leone, fu scelto da Carlo Verdone per recitare in alcuni ruoli tipici del romano, dove il suo innato e roboante umorismo romanesco ha regalato frasi che sono diventate celebri.
Mario Brega, che era anche tignosissimo della Lazio, morì per infarto a Roma il 23 luglio 1994, nel quartiere Marconi dove viveva, e fu sepolto nel cimitero del Verano. Rimasto nell’immaginario collettivo, Mario Brega è citato da diversi artisti italiani (Piotta, Frankie hi-nrg mc).
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