Ogliastrini nel mondo. Il bariese Roberto Aglietta, manager in un ristorante norvegese: “Ragazzi, viaggiate, mettetevi alla prova”

Roberto Aglietta, 35enne bariese, ci racconta oggi la sua avventura lavorativa in Norvegia, dove è approdato dopo tanta gavetta in Italia e in Inghilterra e dove oggi è manager di uno dei ristoranti più noti di Oslo, il Pier31. In valigia sempre due cose: l'amore per l'Ogliastra e la voglia di migliorare sempre.

Roberto Aglietta, 35enne bariese, ci racconta oggi la sua avventura lavorativa in Norvegia, dove è approdato dopo tanta gavetta in Italia e in Inghilterra e dove oggi è manager di uno dei ristoranti più noti di Oslo, il Pier31. In valigia sempre due cose: l’amore per l’Ogliastra e la voglia di migliorare sempre.
Quando e perché hai lasciato l’Ogliastra?
Subito dopo aver terminato gli studi all’Istituto Alberghiero di Tortolì, ho aperto un bar a Bari Sardo. Ho sempre amato il mondo del commercio e della ristorazione, mi piace stare a contatto con le persone. In passato ho anche gestito una discoteca a Lotzorai, aperto un pub e un altro bar che ancora oggi è gestito da mia sorella Nadia. A un certo punto, però, ho sentito la necessità di viaggiare, di nutrire la mente con nuovi stimoli, sia professionali che personali. E ho deciso di salutare l’Ogliastra e fare la valigia. Direzione: Inghilterra.
È stato difficile andare via? Cosa ti mancava di più dell’Ogliastra durante il primo periodo in cui sei stato a Londra?
No, perchè la voglia di mettermi in gioco è sempre stata più forte delle paure e delle nostalgie. Inizialmente, come credo tutti, ho patito parecchio la lontananza da amici e famiglia ma presto la vita quotidiana londinese, che scorre a ritmi frenetici, mi ha avvolto, impedendomi di dare troppo spazio alla malinconia.
Di cosa ti occupavi a Londra? Ora che l’esperienza è terminata, cosa ti è rimasto? Cosa ti ha insegnato?
Non conoscendo la lingua inglese, a Londra – da un punto di vista professionale – ho dovuto iniziare da capo, facendo il cameriere. Non mi sono scoraggiato e lavorando sodo, dopo sei mesi ho trovato lavoro in un ristorante italiano in uno dei quartieri più ricchi di Londra, Chelsea. Dopo pochissimo, grazie alla dedizione che metto nel mio mestiere e che per fortuna non è passata inosservata, sono diventato assistant manager del locale, fino a maggio 2020. L’esperienza a Londra mi ha dato tantissimo. Prima di tutto perchè mi sono impadronito della lingua e poi perchè ho capito che nella vita non ti devi fermare mai, devi essere più forte delle difficoltà.
Quale concatenazione di eventi ti ha portato in Norvegia? Di cosa ti occupi in questo momento?
Durante il periodo legato all’emergenza sanitaria da Coronavirus ho ricevuto una chiamata dal mio caro amico Robert (uno chef conosciuto a Londra) che mi proponeva di trasferirmi in Norvegia, per lavorare in un noto ristorante di Oslo. Dopo essermi mostrato interessato, ho ricevuto dopo poche ore una chiamata di quella che sarebbe poi divenuta la mia titolare, Claudia. Una proposta economica di spessore, un contratto a tempo indeterminato come manager e la voglia di vivere una nuova avventura mi hanno fatto dire subito sì.
In questo tuo peregrinare sei stato sostenuto da amici e parenti?
Sì, sono stato sempre sostenuto dalla mia famiglia, in particolare da mia sorella Nadia. Lei mi ha sempre infuso forza e incoraggiamento, anche da lontano. A Londra poi gli amici Silvia e Luca sono stati un vero e proprio faro nella notte.
Come ti trovi in Norvegia?
Il popolo norvegese è piuttosto freddo, le persone sono riservate. Ma al mio arrivo sono stato accolto come un figlio da Iulian, Claudia e Domenico – che sono splendide persone e i proprietari del ristorante che sono fiero di rappresentare come manager – e dal mio amico Robert. Oslo è una città bellissima, ricca di fascino e di luoghi da fiaba, che consiglio a tutti di visitare, specialmente nei mesi di maggio e giugno. Ho visitato tanti paesi ma devo dire che pochi sono come la Norvegia: qua pare funzionare tutto alla perfezione. La vita è molto cara ma anche gli stipendi sono all’altezza.
Sogni nel cassetto? Come e dove ti vedi tra dieci anni?
Spero di poter riuscire a comprare presto un appartamento tutto mio e un giorno di avere un ristorante tutto mio. O più di uno…mai dire mai!
Cosa ti manca di più della Sardegna? Un giorno tornerai?
Oltre agli affetti, della Sardegna mi manca la cucina e il nostro bellissimo mare.
Cosa consiglieresti ai giovani che come te desiderano intraprendere un’avventura lavorativa all’estero?
Ai giovani di oggi consiglio di partire subito dopo gli studi per imparare l’inglese e conoscere gente nuova. Sono condizioni necessarie alla crescita personale e professionale che alimentano le competenze e la fiducia in se stessi.

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Ogliastrini nel Mondo. Giuseppe Deidda, un lavoratore di Seui sul nuovo ponte di Genova

L’operaio specializzato, da oltre vent'anni lontano dalla Sardegna - sempre nel suo cuore -, racconta la sua ultima esperienza lavorativa sull'importante viadotto progettato da Renzo Piano.
Giuseppe Deidda è uno dei tanti “figli” delle zone interne dell’Isola, partiti per motivi di lavoro e stabilitisi nel Nord Italia.
Alla fine degli anni ’90, dopo aver assolto gli obblighi di leva, ha lasciato il paese di Seui per trasferirsi in Val Camonica.
Nella provincia di Brescia – ma anche in quella di Bergamo – vivono tanti altri compaesani e conterranei che formano una nutrita “colonia” sarda. Giuseppe da diversi anni è un operaio specializzato dell’azienda CMM Rizzi di Vezza d’Oglio, una delle ditte impegnate nella ricostruzione del ponte di Genova.
«È da un mese – afferma Deidda – che sto lavorando nel capoluogo ligure. Precedentemente mi trovavo a Udine, ma a causa dell’emergenza COVID-19, il cantiere è stato interrotto.»
L’azienda bresciana si è occupata del montaggio e la posa delle nove campate del lato di levante del viadotto. Proprio nei giorni scorsi è stata completata l’unione della struttura dell’opera, progettata dall’architetto Renzo Piano. Per l’occasione c’è stata la visita del presidente Giuseppe Conte.
«Un momento importante – racconta l’operaio sardo – che riempie di orgoglio coloro che stanno prestando le proprie competenze per realizzare il nuovo ponte.» Aggiunge:«Non solo rappresenta una rinascita della città, dopo il crollo del Ponte Morandi, ma è una “grande speranza” in questo difficile momento per l’intero Paese.»
Il viadotto autostradale, che scavalca il torrente Polcevera e alcuni quartieri di Genova, dovrebbe essere ufficialmente inaugurato il prossimo luglio. Nel frattempo con diverse decine di colleghi, il seuese è impegnato quotidianamente nel suo lavoro: «Pre-assembliamo e montiamo le parti a terra, per poi lavorare sul ponte stesso. Io mi occupo di imbastire e del serraggio dei bulloni sulla struttura.»
Un lavoro in cui occorre molta attenzione e perizia, e non affatto semplice: «Sicuramente occorre passione in quello che si fa, ed essere sempre vigile soprattutto sulla piattaforma ad alta quota. Considerando gli agenti atmosferici, come vento, o i possibili rovesci meteorologici.»
In questo periodo in cui Giuseppe ha lavorato nella città ligure, ha vissuto direttamente le stringenti misure adottate sul lavoro a causa del COVID-19. «Tre volte al giorno viene misurata la temperatura corporea agli operai – spiega Deidda – e si osservano vari protocolli anti-contagio. Inoltre per la sicurezza di tutti, non è possibile uscire dalla zona del cantiere.»
Il seuese classe ‘76, forse nel fine settimana – visto l’inizio della “Fase due” – potrebbe far rientro a Niardo, paese della Lombardia orientale in cui risiede.
«Sicuramente sarebbe una bella cosa – dice Giuseppe – ne approfitterei per inforcare la bicicletta e fare una bella pedalata.»
Infatti l’operaio, oltre ad essere un instancabile lavoratore, è un un bikers di “razza” a cui è difficile “stare attaccati alla ruota”. Forse in questo sport, per il quale ha partecipato a diverse competizioni di mountain-bike – con buoni riscontri -, ritrova quella libertà delle montagne, tipica del proprio paese.
Giuseppe sente sempre nostalgia dell’Isola: «Cerco di rientrare in paese il più possibile, in base agli impegni lavorativi. Non è agevole raggiungerla visti i collegamenti, e quindi bisogna organizzarsi con largo anticipo. Ma la cosa più dura è la ripartenza: è come se fosse la prima volta, la malinconia è sempre la stessa.»
Deidda attenua questa “saudade” sarda, quando si ritrova con suo fratello Riccardo e famiglia, e gli altri compaesani trapiantati nel Nord Italia.
Anche se non vede l’ora che arrivi l’estate: «Auspico per allora, che l’emergenza coronavirus sia rientrata, così da permettermi di ritornare in ferie da mia madre e dagli altri familiari.»
Speriamo di incontrare a breve Giuseppe, con la sua inseparabile bicicletta, molto probabilmente nei sentieri di Seui. Oppure dopo aver macinato chilometri dalla montagna fino alla Costa ogliastrina, seduto all’ombra di un chiosco a bere una bevanda fresca con gli amici.

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