Lo sapevate? Quali erano i giochi di un tempo a Napoli?

Prima dell'avvento dei giochi elettronici, quali erano i giochi e i passatempi preferiti dai bambini a Napoli? Andiamo a scoprirlo in questo articolo.
Lo sapevate? Quali erano i giochi di un tempo a Napoli?
Prima dell’avvento dei giochi elettronici, quali erano i giochi e i passatempi preferiti dai bambini a Napoli? Andiamo a scoprirlo in questo articolo.
In un mondo sempre più tecnologico e digitale, dove i videogiochi, le console, gli smartphone, i tablet e le app sembrano avere la meglio sulla fantasia e l’immaginazione dei più giovani e non solo, sorprende pensare che un tempo i giochi e i giocattoli erano fatti di materiali concreti e creati con le proprie mani. Eppure, è proprio così: in tempi remoti, i bambini non andavano in un negozio di giocattoli per acquistare quello che desideravano, ma li creavano in casa utilizzando quel che avevano a disposizione, come legno, stoffa, metallo e quant’altro.
Era così anche a Napoli, dove i trastulli per bambini erano costruiti con abilità e fantasia dai genitori o dai nonni, utilizzando soprattutto il legno e i materiali di risulta. E così nascevano giochi “cult”, che hanno reso felici diverse generazioni di bambini e adulti.
Il “carruocciolo”, ad esempio, era uno dei giochi più conosciuti e apprezzati. Il suo nome derivava dal latino “carroccium”, che significa “piccolo carro”. Era costruito con due assi di legno e alcune ruote improvvisate, e in assoluto era l’antenato del moderno skateboard. I bambini adoravano salire su di esso e scendere lungo le ripide strade della città, senza curarsi delle conseguenze. Le loro scarpe si consumavano dalle frenate, le loro ginocchia erano perennemente sbucciate ma la felicità che provavano durante quelle discese era impagabile.
Meno pericoloso ma altrettanto divertente era lo “strummolo”, un’altra creazione artigianale che risale probabilmente al XVIII secolo. Era una trottola artigianale, dotata di una punta metallica alla base e capace di rimanere in equilibrio per tutta la durata del movimento rotatorio. Era facile trovare questo gioco nei cortili o sui cigli dei marciapiedi e i bambini erano capaci di trascorrere ore intere intorno ad esso. Tirando la “funicella”, uno spago posto all’estremità, lo strummolo iniziava a roteare forsennatamente, creando un effetto visivo incredibile.
In un’epoca in cui i videogiochi sembrano essere il divertimento principale per i bambini, pensare a quei tempi in cui la creatività, l’ingegno e la fantasia guidavano la creazione di giochi e giocattoli concreti, ci fa capire quanto sia importante stimolare l’immaginazione dei più piccoli e farli tornare a giocare con le proprie mani, lasciando da parte l’elettronica e la plastica. Alla fine, non c’è niente di meglio che vedere i nostri figli felici e impegnati in una sana attività che li stimola fisicamente e mentalmente.
I giochi e i passatempi antichi sono sempre affascinanti da scoprire e Napoli, come tante altre città italiane, ha una lunga tradizione di giochi e giocattoli che hanno fatto divertire generazioni intere di bambini. Uno di questi giochi, conosciuto come “lo strummolo”, era particolarmente popolare e continuato fino agli anni ’60. Il gioco consisteva nel far girare una trottola artigianale con una punta in metallo alla base. Chi riusciva a farlo girare per più tempo vinceva e diventava l’idolo dei quartieri.
Lo strummolo aveva anche un’altra funzione: infatti, il suo nome è ancora oggi usato come insulto rivolto a una persona considerata stupida e confusa, che non sa dove si trova la rotta della propria vita.
Ma Napoli aveva anche giochi che potevano essere molto pericolosi, come “il tirapreta”, ovvero la classica fionda, che i ragazzi usavano per tirare sassi o altro materiale e causare danni ovunque. I danni che ci potevano essere erano parecchi, e a volte finivano con il tolire la vita a qualcuno.
Tra i giochi più popolari dell’epoca c’erano “Mazza e pìvezo”, “lippa” o “lo castello”, un gioco di squadra munita di una palla, che veniva colpita a destra e a sinistra da un battitore, facendola rimbalzare più volte senza farla cadere. Un gioco che richiedeva grande abilità e destrezza e che era anche molto organizzato.
Ma forse uno dei giochi più antichi e interessanti che ha avuto origine a Napoli è il “Pallamaglio”. Questo gioco all’aperto, era molto apprezzato in passato e aveva ispirato diversi sport moderni come il golf, il croquet, l’hockey o il polo. Semplice ma divertente, richiedeva solo una palla compatta e una mazza con una testa a martello piatta. L’obiettivo del gioco era quello di colpire la palla con la mazza e farla girare lungo un percorso prestabilito.
Naturalmente, tra tutti questi giochi e passatempi, uno dei preferiti tra i bambini di ogni generazione è sempre stato il calcio. La passione per il calcio a Napoli è immortale e non conosce età. Ancora oggi, palloni in lattice e plastica restano incastrati ovunque, dai tetti delle case agli stipiti delle chiese. Non c’è vicolo o piazzetta della città in cui questa tradizione non tenda all’eterno. E chi sa, magari un giorno anche i nostri figli parleranno con affetto dei giochi antichi di Napoli e della loro immortale bellezza.

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Che significa “Pare ‘na pupata ‘e ficusecche!”? Andiamo in Cilento a scoprirlo

Il Cilento, terra di mare, di dolci montagne, terra agricola. Il fico è uno dei frutti di cui essa va più fiera e la “Pupata ‘e ficusecche” è un detto la cui spiegazione va cercata proprio tra questi territori, in giro per le stradine, a guardare i generosi alberi di fichi e a prenderne qualcuno, perché no?
Che significa “Pare ‘na pupata ‘e ficusecche!”? Andiamo in Cilento a scoprirlo.
Il Cilento, terra di mare, di dolci montagne, terra agricola. Il fico è uno dei frutti di cui essa va più fiera e la “Pupata ‘e ficusecche” è un detto la cui spiegazione va cercata proprio tra questi territori, in giro per le stradine, a guardare i generosi alberi di fichi e a prenderne qualcuno, perché no?
Vorremmo portarvi in una delle terre più ricche di bellezza e natura del nostro territorio regionale: il Cilento. Terra di mare, montagna, e campi coltivati a frutta e ulivi. In questo prezioso territorio si va, in particolare, molto fieri del fico, frutto dolcissimo che matura proprio in questa stagione estiva. Il Ficus carica domestica è un alimento che ha radici asiatiche. Fu introdotto nel territorio dai coloni greci tra il VI e il V sec a.C. Già gli antichi autori latini Catone e Varrone conoscevano il fico bianco del Cilento (l’unica qualità nera è prodotta a San Giovanni a Piro). Erano autori che si interessavano della coltivazione dei campi e della loro gestione. Essi ritenevano i fichi un ottimo alimento per i contadini perché dolce e nutriente. I turisti che in piena estate visitano l’interno del promontorio vedono sui balconi e nei cortili il forte contrasto cromatico tra il rosso dei pomodori posti a seccare in piatti di ceramica e il giallo oro dei fichi messi ad asciugare in appositi vassoi di vimini (gratedda) dalla forma spianata. Una volta eliminata l’acqua in eccesso, i fichi sono imbottiti con mandorle, nocciole, noci, semi di finocchietto e bucce di agrumi. A volte sono ricoperti di cioccolato fondente, variante nata dopo la guerra in onore degli americani che si accaparrarono tutto il prodotto di quell’anno, cedendo in cambio tutto il cioccolato che avevano con loro. Un intraprendente imprenditore del luogo ne fece allora un dolce squisito, che avrà un gran successo: inventò i fichi secchi imbottiti e ricoperti di cioccolato.
Non a caso l’attuale produzione pare sia assorbita in gran parte proprio dal mercato americano. Ancel Keys, che per primo definì la dieta mediterranea, nutrizionista americano che visse in Cilento, a Pioppi, mangiava due fichi secchi tutte le sere prima di andare a dormire. La tradizione vuole che ogni anno nel giorno di Santa Lucia la sposa regali una “jetta” di fichi al suo compagno, ovvero un bastoncino di legno con i frutti essiccati ripieni di nocciole o mandorle. Non è difficile trovare alberi di fico lungo le strade, né difficile vedere automobilisti di passaggio che si fermano per raccogliere quelli sporgenti sulla strada. Ma il Cilento è terra generosa e a tutti concede. Il gusto della trasgressione commessa aumenta il sapore gustoso del frutto.
ricordiamo un’espressione popolare che ricorda questo frutto delizioso: pupatella di ficusecca dicesi di donna ben apparecchiata, graziosa come una bambolina ma rigida come un fico essiccato. Insomma, un appellativo non troppo cortese affibbiato a quelle non più giovani signore che andavano o meglio vanno in giro, visto che il detto è ancora in auge, con il viso ricoperto di cipria, tale per cui scatta il paragone con le pupattole che i venditori di frutta secca esponevano durante le festività natalizie.
(foto Wikipedia e Tripadvisor)

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