Monumenti napoletani: la fontana del Sebeto, una delle più belle (e degradate) di Napoli

La seicentesca fontana del Sebeto, capolavoro del Barocco campano, è una delle più belle fontane monumentali di Napoli. La struttura, che si trova in uno dei punti più suggestivi della città, versa purtroppo in uno stato di degrado notevole, tanto che a più riprese i napoletani hanno presentato delle denunce.
Monumenti napoletani: la fontana del Sebeto, una delle più belle (e degradate) di Napoli.
La seicentesca fontana del Sebeto, capolavoro del Barocco campano, è una delle più belle fontane monumentali di Napoli. La struttura, che si trova in uno dei punti più suggestivi della città, versa purtroppo in uno stato di degrado notevole, tanto che a più riprese i napoletani hanno presentato delle denunce.
Il monumento si trova in largo Sermoneta, al termine di via Francesco Caracciolo.
La sua originaria collocazione era alla fine della strada Gusmana, detta in seguito salita del Gigante (oggi via Cesario Console), addossata ad un muraglione che affacciava sul sottostante arsenale e posizionata in modo tale da essere di fronte a via Santa Lucia.
Nell’anno 1900 la fontana fu smontata e solo nel 1939 fu ricomposta nell’attuale collocazione, dopo che negli anni trenta fu realizzata la colmata del tratto finale di via Caracciolo.
La fontana Fonseca, meglio conosciuta come fontana del Sebeto nel corso del Seicento, dal viceré Emanuele Zunica y Fonseca conte di Monterey, che la fece collocare lungo la discesa del Gigante, all’incrocio tra le attuali via Cesario Console e via Santa Lucia. Il progetto è attribuito a Carlo Fanzago, figlio del più celebre Cosimo, anche se le ultime informazioni lo riferiscono invece proprio a Cosimo, riducendo il giovane Carlo a esecutore materiale dell’opera.
La base della fontana è tutta in piperno; la parte superiore è composta da tre vasche in marmo, di cui la centrale è quella più grande ed aggettante. Su di questa si ergono due mostri marini dalle cui bocche sgorga l’acqua.
La scultura di rilievo è situata al centro ed è rappresentata da un vecchio ignudo, simboleggiante il fiume Sebeto, l’antico corso d’acqua che scorreva nel cuore della città.
I due tritoni ai lati della fontana hanno sulle proprie spalle delle buccine che gettano l’acqua nelle vasche laterali. A completare la fontana vi è una lapide, sormontata dai tre stemmi del viceré, del Re di Spagna e della città di Napoli.
La composizione è costituita da uno zoccolo sul quale poggia un basamento in marmo, che sorregge tre vasche, di cui quella centrale più aggettante. Su quest’ultima si appoggiano due mostri marini, dalle cui fauci scaturiva l’acqua. Al centro della fontana, un arco a sesto ribassato – sormontato da una monumentale struttura che comprende una lapide incorniciata da volute, e gli stemmi araldici del re di Spagna, del viceré e della città di Napoli – inquadra la statua di un vecchio barbuto, che rappresenta il fiume Sebeto, adagiato sul fianco destro all’interno di una grande conchiglia. Addossate ai piedritti, ci sono altre due figure che riproducono tritoni recanti sulle spalle e in mano ciascuno due buccine, dalle quali sgorgava l’acqua nelle vasche laterali. Completano la struttura, due obelischi a sezione piramidale coronati da un globo e da stelline, ora scomparse.
La struttura è transennata, l’impianto idrico non è in funzione; l’impianto di illuminazione esterno, realizzato con proiettori inseriti in apposite nicchie realizzate nella pavimentazione antistante il monumento stesso, è stato vandalizzato.
Una lastra di marmo di rivestimento si è staccata e la parte monumentale della fontana presenta diversi punti di sconnessione dei rivestimenti, con diffusa formazione di vegetazioni infestanti, forti presenze di depositi superficiali, escrementi e incrostazioni che in molti punti hanno intaccato la finitura dei marmi di rivestimento. Sono presenti anche dei graffiti con evidente penetrazione del colore sia sulla parte basamentale in piperno che sui rivestimenti in marmo; le statue sono lesionate e mancano diverse parti scultoree.

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