Sa coghina antiga de sennora Angelina Biumi: sapori marcati ed originali che fanno viaggiare a ritroso nel tempo

Tutta la cucina sarda è frutto della tradizione e della ritualità, perché convive con le ricorrenze della vita e della quotidianità: dal pane, ai dolci, ai minestroni, alle carni, formaggi, pesci e ai vini.
Articolo a cura di Rita Coda Deiana
L’arte culinaria, attraverso i secoli, ha rappresentato per l’uomo uno degli antichi mestieri più importanti
da tramandare da generazione a generazione. Un’arte antichissima che delinea la cultura identitaria dei
popoli, con i suoi caratteri e le sue tradizioni. Così la cucina tradizionale della Sardegna, è l’emblema di un punto di incontro di sapori e aromi diversi, con le sue ricchezze ben radicate nel suo svariato territorio e, soprattutto in passato, con i suoi piatti poveri, trasformati con l’ingegno e con la pazienza, in ricette (retzetas) originali e gustose. Tutta la cucina sarda è frutto della tradizione e della ritualità, perché convive con le ricorrenze della vita e della quotidianità: dal pane, ai dolci, ai minestroni, alle carni, formaggi, pesci e ai vini.
Sapori marcati ed originali che fanno viaggiare a ritroso nel Tempo
Signora Angelina Biumi, mi ripeteva sempre che per cucinare bene e piatti gustosi era importante
utilizzare ingredienti buoni e genuini, dai sapori marcati ed originali. Prodotti di stagione che venivano
raccolti negli orti e nei campi coltivati…i frutti di stagione. Per lei era importante che i prodotti si
cucinassero quando la natura li porgeva maturi, nella pienezza del profumo, sapore e colore. Così, come
variavano le stagioni e i prodotti, si alternavano anche le pietanze da cucinare.
La varietà dei terreni e delle colture di una volta, offriva infatti, una vasta disponibilità di prodotti naturali e genuini secondo i ritmi naturali della terra e delle stagioni.
Ma come nasce la passione della signora Angelina per l’arte culinaria?
La signora Angelina Biumi, nacque il 2 agosto del 1915 a Donori, un piccolo paese ubicato nella regione
storica del Parteolla, ai confini con il Campidano Meridionale. Il padre, Giacinto Biumi (su segretariu)
era di origine pugliese e lavorava in qualità di impiegato, presso gli uffici comunali di Donori. La madre,
Vitalia Atzeni era di Dolianova e morì dandola alla luce. La bambina crebbe insieme alla sorella maggiore Doloretta e, quando il padre convolò a seconde nozze con la signora Emilia Enas di Dolianova, come era consuetudine di vita di quei tempi, i figli di primo letto, venivano affidati a parenti o conoscenti di fiducia. Così, la signora Angelina venne affidata alla famiglia del signor Angelo Cocco, ricco possidente del paese. La signora Assunta Palmas, moglie del signor Cocco, originaria del paese di Sinnai, era una donna gentile e premurosa che amava il canto, infatti studiò da soprano nel Conservatorio di Musica di Cagliari.
Una delle grandi passioni della signora Assunta era l’arte culinaria, e mentre cucinava amava cantare. E’
attraverso il canto che tramandò la passione per l’arte culinaria alla signora Angelina e, da questo
connubio fra strofe di canto e cultura gastronomica tramandata a sua volta dalla madre, come per magia,
creavano piatti buoni e genuini, lontani dalla piattezza di alcuni cibi spazzatura di oggi.
Sa coghina antiga de sennora Angelina
Per signora Angelina era importante cucinare in un luogo adatto ed accogliente, e la cucina delle case
sarde tradizionali era insieme laboratorio e mensa; perfettamente funzionale, ma anche ospitale nei suoi
punti di maggiore rappresentanza: il caminetto (sa ziminera o forredda), i fornelli di ghisa dove si
cucinava (is forreddus) alimentati con la legna o con il carbone di erica, la piattaia a parete (su
parastaggiu), l’angoliera appesa al muro per le provviste (sa scantzia), grandi cesti dove si metteva a
lievitare il pane ( is canisteddus), i setacci per la farina ( is cibirius po sa farra), canestrini (pallineddas),
la tavola da pranzo (sa mes’ ‘e prandi), gli sgabelli (is scannus), le seggioline (is scannixeddus), le sedie
(is cadiras) anticamente realizzate con fusti di ferula e impagliate con il giunco, il tavolo per la
lavorazione del pane ( sa mes’ ‘e pesai su pani), il forno a legna per preparare il pane (su forru a linna
po fagher su pane-pani).
In sa coghina antiga, Angelina era la protagonista indiscussa, dove le grandi pentole di alluminio o
terracotta fumavano, soprattutto in questo periodo dell’anno, di brodo di pollame di cortile (brodu de
petza de pratza) di gallina ripiena ( de pudda prena ), di galletto al sugo e basilico (cabonischeddu cun
tamata frisca e afabica) o di minestroni di legumi: lenticchie, fave, fagioli e ceci con lardo di maiale che
veniva macellato alla fine del mese di dicembre o agli inizi di gennaio (minestroni de loru: gentilla, faa,
basolu, cixiri e ladru), patate cucinate sotto la cenere e di pane abbrustolito sul trebini, il treppiede in
ferro che non poteva mancare all’interno del caminetto tradizionale sardo, che spesso veniva capovolto per scacciare il malocchio dalla famiglia. Come non mancava il profumo invitante delle gustose erbe
selvatiche di campo, saltate in padella o in frittata e del pane dorato (pani indorau): fette di civraxu
imbevute con il latte, poi passate nell’uovo sbattuto e fritte nell’olio di oliva o strutto di maiale.
Su civraxu de sennora Angelina
Il pane civraxu che rappresentava la sacralità de sa coghina antiga de sennora Angelina, era realizzato
con la farina (scetti) di grano duro Cappelli. La sua panificazione avveniva ogni otto giorni in su forru a
linna. Nelle mani di Angelina e quelle delle sue figlie che l’aiutavano nella panificazione, si racchiudeva il
segreto della bontà unica dell’impasto. Il calore impresso dalle loro mani era infatti capace di fondere i
semplici ingredienti, in un impasto morbido; e solo la forza ben distribuita delle loro braccia riusciva a
lavorare la pasta fino a plasmarla.
Quali erano le fasi della preparazione del pane?
La sera prima della panificazione, Angelina scioglieva un piccolo quantitativo di pasta fermentata,
(arremissi su fromentu) avanzata dalla panificazione precedente, che ogni volta serviva da lievito per le
panificazioni successive. Preparava tutti gli ingredienti per la mattina seguente e metteva l’acqua a
scaldare in un grande pentolone (sa pingiada manna). All’alba, impastava la farina con l’acqua salata e calda (cummossai) dentro un contenitore di terracotta (sa scivedda). Poi la pasta si amalgamava con il lievito (su fromentu) e a questo punto si cominciava a lavorarla (ciuexi) con l’acqua tiepida ma non più salata.
Angelina, occhi azzurri e lunghi capelli biondi, profumava di sapone sardo (sabone – saoni – saboni
sardu), portava il fazzoletto in testa (su muccadori) per raccogliere i suoi lunghi e folti capelli, che teneva
in ordine con una crocchia di trecce e indossava sempre e rigorosamente il grembiule (su grembiali –
deventali – falda) con ampie tasche. Le sue mani esili e minute, manipolavano con pugni chiusi, premendo e impastando la pasta (sa spongiadura). Intanto, le figlie addette al forno, provvedevano a riscaldarlo bruciando fascine di potatura di vigna e olivastro. Quando Angelina riteneva che la pasta per il civraxu era stata lavorata abbastanza, la posizionava in sa mes’ ‘e pesai su pani, la cueziada e formava delle grandi pagnotte piatte e tondeggianti, incideva una croce al centro e le lasciava lievitare nei canisteddus coperte con dei teli di lino e con delle coperte di lana. Dopo la lunga lievitazione, su civraxu veniva introdotto nel forno caldo, precedentemente spazzato con covoni di cisto (murdegu) nella stagione invernale e di menta di fiume (menta ‘e arriu) in quella estiva. Ogni pagnotta veniva collocata con la pala da forno nelle parti più esterne del forno, invece la parte centrale era destinata al pane più pregiato come is coccois e is cabonischeddus elaborati con pasta di semola (de simbula).
Nella stagione invernale, giaja era solita preparare anche su pani ‘e gerdas, che erano delle piccole
focacce schiacciate con il palmo della mano che contenevano i piccoli ritagli rimasti del lardo del maiale e su pani ‘e arrescottu, panini alla ricotta.
Il civraxu durava tutta la settimana e quando ormai si era prossimi alla successiva panificazione, si
tagliava a fette e si inumidiva con il latte o con il brodo, le fette venivano poi disposte a strati, intervallati
con salsa di pomodoro e pecorino grattugiato e sistemate nelle teglie di alluminio per essere infornate (su mazzamurru).
La testimonianza dell’arte culinaria della signora Angelina Biumi, era ispirazione e creazione allo stesso tempo, fantasia e tecnica, maestria e precisione. Ecco allora che un sapere antico insegna a ritrovare il
giusto tempo per ottenere dei risultati in qualsiasi campo, insegna la lentezza con la quale si può creare e
dare vita ad una ricetta unica ed irripetibile. La lentezza nella creazione, rimanda alla stessa lentezza con
la quale la natura crea e dà la vita, con la ciclicità degli eventi e con il rinnovarsi delle stagioni e dei
tempi. In questo spazio la materia prima, usata nell’arte culinaria, plasma anche il carattere di ciascuno e lo rende unico nel suo processo di trasformazione. Nello spazio ritrovato il filo serpeggia tra le ricette antiche e quelle nuove e si spinge un poco più in là, fino a toccare i contorni del futuro.
Un futuro nel quale la tradizione antica non è semplice appannaggio per turisti, bensì diviene sostanza
fondamentale del cambiamento. Vi è perciò anche una sfumatura di inclusività, di rapporto intimo ed
interiore tra il vecchio e il nuovo, un rapporto di reciproca commistione e mescolanza. Si crea il ponte tra
antico mestiere e tempo moderno, si va ad unire e a preservare un antico sapere che altrimenti andrebbe
dimenticato e ad evidenziarne il ruolo in un’ottica di sviluppo sociale. Gli antichi mestieri come simbolo
di un crescente bisogno di ritrovare le proprie radici in un mondo che tende a divorare le origini nel nome del progresso economico e tecnologico.

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