Lo sapevate? Che cosa vuol dire in sardo “Accorradroxu”?
Una parola ben precisa, che porta con sé tutto il peso della tradizione e un sapore arcaico, ma che ancora oggi è usatissima, specialmente dall'alto Campidano in giù. Questa parola, tanto affascinante quanto concreta, indica qualcosa di tangibile.
Lo sapevate? Che cosa vuol dire in sardo “Accorradroxu”?
Una parola ben precisa, che porta con sé tutto il peso della tradizione e un sapore arcaico, ma che ancora oggi è usatissima, specialmente dall’alto Campidano in giù. Questa parola, tanto affascinante quanto concreta, indica qualcosa di tangibile: il recinto dove vengono sistemate le bestie, in particolare le pecore, per la mungitura. Pensateci: un termine così evocativo, che racchiude in sé immagini di campagna, suoni di campanacci, e l’odore della terra bagnata, non poteva non avere una storia interessante alle spalle.
Da dove deriva, vi chiederete? Ebbene, la radice è limpida e inconfondibile. “S’accorradroxu” prende vita dal verbo sardo “accorrai”, un termine che, secondo il “Fueddariu sardu campidanesu-italianu” di Melis, significa radunare, raggruppare, rinchiudere il bestiame nel recinto, o custodirlo con cura. Ma non è tutto! Questo verbo può anche indicare l’atto di aggiogare, per esempio, un bue o altri animali durante la fase di doma.
E sapete qual è la chicca? La derivazione di “accorrai” affonda le sue radici nello spagnolo: il termine “encorrallar”, ad esempio, significa proprio aggiogare. Un piccolo viaggio linguistico che ci porta dalla Sardegna alla Spagna, passando attraverso secoli di tradizione pastorale. Non trovate che sia incredibile come una semplice parola riesca a custodire e raccontare così tanto della nostra storia?
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