Nell’incantevole scenario della Costa Smeralda, dove le acque cristalline incontrano sabbie finissime e granito rosa, sorge la Spiaggia del Principe, una delle più celebri e amate spiagge della Sardegna. Originariamente nota come Poltu di li Coggi (in dialetto gallurese, “Porto delle Conchiglie”), questa spiaggia ha cambiato nome negli anni ’60 grazie alla visita di un illustre ospite: il giovane Principe Karim Aga Khan.

Negli anni ’60, il Principe Karim Aga Khan, affascinato dalla bellezza selvaggia e incontaminata della Sardegna, visitò per la prima volta la zona di Poltu di li Coggi, che ancora oggi incanta per i suoi paesaggi naturali. Ammaliato da questa striscia di sabbia bianca e dal mare turchese che la circonda, il Principe ne fece la sua spiaggia preferita e iniziò a frequentarla regolarmente. L’attaccamento dell’Aga Khan a questo angolo di paradiso ispirò gli abitanti locali a ribattezzare la spiaggia in suo onore, consacrandola come la “Spiaggia del Principe”. Così, questo incantevole tratto della Costa Smeralda divenne simbolo di eleganza e fascino, riflettendo lo stile e l’esclusività legati alla figura del Principe.

La Spiaggia del Principe è un piccolo capolavoro della natura, dove sabbia finissima e bianchissima si estende a formare una baia ad arco, protetta dalle rocce di granito rosa e dalla rigogliosa macchia mediterranea. La particolare conformazione del fondale, composto da sabbia chiara e granito, dona al mare un colore inconfondibile, variando dal turchese al blu profondo, e una limpidezza che rende questa spiaggia un’autentica perla della Sardegna.

Divisa in due piccole calette da un gruppo di scogli che emergono sulla battigia, la Spiaggia del Principe offre un senso di intimità e isolamento. Non vi sono stabilimenti balneari, ma solo un piccolo chiosco, così da preservare l’aspetto selvaggio e naturale di questo luogo unico. Chi visita la Spiaggia del Principe può noleggiare sdraio e ombrelloni, ma la spiaggia rimane prevalentemente libera, ideale per chi cerca un contatto puro con la natura.

La Spiaggia del Principe è situata in una posizione strategica, non lontano dalle lussuose località della Costa Smeralda, ma nascosta quanto basta per garantire una tranquilla evasione. Per raggiungerla, basta partire da Porto Cervo e dirigersi verso Cala di Volpe. Oltrepassato l’iconico hotel Cala di Volpe, proseguire verso sud per circa 2,5 km. Poco prima di arrivare a Capriccioli, troverete un bivio sulla sinistra che porta verso Romazzino. Dopo circa 1,4 km, un sentiero sulla destra vi guiderà verso il mare: una breve mulattiera vi condurrà, con una passeggiata di circa 10 minuti, alla famosa baia.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.