Lo sapevate? Perché il fico d’India in Sardegna viene chiamato “figu morisca”?

Si calcola che in Sardegna ci siano quasi 300 ettari di fichi d’India spontanei. Sono pochissimi invece gli ettari coltivati: questa pianta identitaria, che genera frutti buonissimi, nella nostra Isola non se la calcola quasi nessuno mentre in Sicilia viene coltivata e sfruttata su larga scala. Ma perché qui viene chiamata "figu morisca"?
Lo sapevate? Perché il fico d’India in Sardegna viene chiamato “figu morisca”?
In Sardegna, si stima che i fichi d’India spontanei occupino quasi 300 ettari di terreno, una superficie significativa per una pianta che cresce senza necessità di particolari cure. Tuttavia, gli ettari coltivati sono pochissimi, quasi inesistenti, un dato sorprendente se si considera il valore culturale e gastronomico di questa pianta simbolica. I fichi d’India, con i loro frutti dolci e succosi, potrebbero rappresentare un’importante risorsa agricola per l’Isola, ma sembrano essere trascurati rispetto ad altre colture. Questo è ancora più evidente quando si confronta la situazione sarda con quella della Sicilia, dove la coltivazione di fichi d’India è una vera e propria eccellenza, organizzata su larga scala e con un forte impatto economico. In Sardegna, invece, questa pianta viene lasciata crescere prevalentemente allo stato selvatico, senza che se ne valorizzi appieno il potenziale. Eppure, i fichi d’India fanno parte della tradizione sarda, al punto che sono conosciuti con il nome particolare di “figu morisca”. Ma perché vengono chiamati così?
Il fico d’india si raccoglie con le mani, indossando guanti, o con una apposita canna. Sia la pianta sia i frutti, infatti, hanno delle fastidiose spine che solo un raccoglitore esperto riesce ad evitare.
Il fico d’India, pianta legnosa perenne ricca di proprietà giunta dal Messico in Europa dopo la scoperta dell’America (forse arrivato grazie agli arabi, il che spiegherebbe perché viene chiamata “figu morisca”), origini a cui deve il suo nome evidentemente legato allo storico equivoco di Cristoforo Colombo convinto di aver raggiunto le Indie.
Tra le varianti del nome sardo, quella più conosciuta è probabilmente figu morisca (o murisca), che verrebbe dallo spagnolo higuera de moro. Avendo trovato un clima a sé favorevole, la pianta è diventata uno dei simboli della vegetazione spontanea e non del nostro territorio, come nel resto del Mediterraneo.
Il fico d’India, considerato da molti il frutto del futuro per la sua capacità di adattarsi ai terreni poveri e per il basso fabbisogno idrico, viene spesso elogiato per le sue straordinarie proprietà. Tuttavia, in Sardegna, l’Opuntia ficus-indica rimane largamente sottovalutata. Nonostante le sue origini messicane, questa pianta è presente sull’isola da secoli, diffondendosi spontaneamente in diverse aree. I proprietari terrieri hanno spesso sfruttato la sua natura spinosa per delimitare i propri confini, evitando così di investire in costose recinzioni di pietra o, più recentemente, in reti e pali.
Per avere un’idea delle sue potenzialità, basta guardare alla Sicilia, dove quasi 5.000 ettari sono dedicati alla coltivazione del fico d’India. In Sardegna, invece, gli ettari coltivati non superano i 50, appena l’uno per cento rispetto all’altra grande isola del Mediterraneo. Questa disparità potrebbe essere dovuta anche al fatto che la Regione Siciliana ha da tempo incentivato questa coltura con sostegni economici, scommettendo su un frutto dalle molteplici potenzialità ancora ignorate in Sardegna.
Il suo fiore di un giallo acceso sboccia tra aprile e giugno, ma è il frutto, ovviamente, a fare più gola in tutti i sensi. All’interno di un involucro spinoso, che ci costringe a raccoglierlo coi guanti, si nasconde un cuore tenero, succoso e profumatissimo, consumabile intero o sotto forma di succo, marmellata o della ormai tipica sapa, usatissima per preparare dolci. La sua ricchezza di semi lo fa agire come regolatore dell’intestino, sempre a patto che non se ne consumino quantità eccessive che potrebbero invece causare stitichezza. Poco calorici e ricchi di fibre, sali minerali e vitamina C, i fichi d’India hanno uno spiccato potere diuretico grazie alla presenza delle betalaine, il che può aiutare ad esempio nell’eliminazione dei calcoli renali, ma anche nella prevenzione e nella riduzione della ritenzione idrica e della cellulite. Notevoli anche le proprietà antiossidanti del frutto, nonché di controllo del colesterolo grazie all’azione combinata delle betalaine e della taurina.
Per quanto riguarda le proprietà cosmetiche, anche queste non si risparmiano: creme a base di fico d’India garantiscono una pelle più idratata, più soda e tonica sempre grazie alle caratteristiche antiossidanti e igroscopiche del frutto. Maggiore idratazione e liscezza verrà poi conferita ai capelli trattati con shampoo o maschere contenenti estratti di fico d’India, sempre più diffusi in erboristeria. Ma l’elisir di bellezza non è dato soltanto dal frutto: dalle pale ovali spinose, chiamate cladodi e sfruttatissime nell’aridocoltura per dissetare le piantine durante la loro crescita, si estrae un preziosissimo succo che sulla pelle esercita un’azione cicatrizzante e disinfettante, mentre dalla spremitura dei semi si ottiene un olio estremamente idratante e rigenerante.

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