Sarditudine. I 10 pilastri del sardo medio
Un percorso che tra orgoglio e sana autoironia cerca di tracciare un ritratto semiserio dell'identità di noi sardi.
Come vi abbiamo detto in precedenza nell’articolo “Cagliaritudine. I 10 pilastri del cagliaritano medio”, ogni città ha i suoi miti incrollabili nel tempo e nello spazio. Ma cosa succederebbe se anziché prendere come campione il popolo di una città, prendessimo, invece, il popolo di un’intera regione che, nel caso della Sardegna, si potrebbe definire tranquillamente una nazione?
Ecco quali sono secondo noi di Vistanet i 10 pilastri del sardo medio, quelle certezze inaffondabili sulle quali poter contare ogni qual volta si ha bisogno di guardarsi allo specchio e dirsi «Ecco, noi siamo così».
Il mare più bello. Una cosa è certa: non esiste mare più bello di quello della Sardegna. Dal Sulcis all’Ogliastra, da La Maddalena a Villasimius passando per la Costa Smeralda, ogni angolo dei nostri litorali è buono per affermare con incrollabile certezza che «nessuno può vantare un mare più bello». Ora, oggettivamente possiamo dire che questa frase non si discosta di molto dal vero. I nostri 1.897 km di costa sono un patrimonio incredibile di bellezza, con i colori che sfumano dal turchese allo smeraldo, in una piscina naturale senza fine. Ma questa bellezza diventa spesso una trappola, perché quando arriva settembre e le spiagge si svuotano, le altre incredibili bellezze si nascondono nella routine dei tanti turisti che scappano dall’isola, troppo spesso dipinta come terra di sole e mare. E invece, noi sappiamo, che è molto, molto di più.
Maialetto, mirto, salsiccia e pecorino (starter pack). Quando l’amico di Belluno viene a trovarci c’è una cosa di cui siamo certi e che non possiamo fare a meno di riproporre. Nel nostro frigo compariranno magicamente quattro cose: un maialetto da arrostire, una forma di pecorino e una salsiccia secca da affettare e una bottiglia di mirto da spedire in congelatore e da tirare fuori a fine pasto in modalità “Santo Graal”, talmente gelato da fare male alle mani. Queste quattro cose costituiscono lo “starter pack” ufficiale dell’ospitalità sarda e gli stessi forestieri ospiti a casa nostra le chiederanno a gran voce non appena avranno posato le valigie in camera. Quindi meglio avere sempre tutto pronto, non sia mai che il figlio rientrante per le vacanze da una grigia città della Pianura Padana dove si trova a studiare non porti con sé il coinquilino di Pesaro o la nuova fidanzatina di Viterbo.
Lo schidone (su schidoni o schironi). Solida certezza del sardo medio è che tutto sia “schidonabile” e passibile di brace grazie al placido ed elettrico procedere del girarrosto. Maialetti, capretti, agnelli, trattalie e anguille, tutto può finire nello schidone per allietare pranzi infiniti accompagnati da ettolitri di vino, sotto un bel sole primaverile e il cuor leggero che canta contento. Il sardo medio una volta acceso il fuoco tira fuori l’arma prediletta e arrostisce indistintamente carne e pesce come se non ci fosse un domani. Ah ovviamente accanto c’è la griglia, amica immancabile del più scenografico schidone.
Il continente. Una strana malattia affligge il sardo medio: la sindrome del “continente”. Il continente è una zolla di terra gigantesca che va da Civitavecchia a Novosibirsk, ma è più propriamente usato per definire il territorio occupato e abitato da altri italiani. Ogni qual volta il sardo medio prende un aereo o un traghetto, non va in Italia, ma va «in continente». Il continente non è tanto una definizione geografica, ma più propriamente un approccio all’esistenza, consapevolmente (e a tratti piacevolmente) isolazionista. I continentali sono quindi quelle persone che d’estate affollano le nostre spiagge con le loro pelli rosee e i loro accenti “esotici”. Molto più usato per definire gli italiani del nord che quelli del sud.
Il sardo non è un dialetto, ma una lingua. Il sardo medio è molto sicuro della sua identità, chiaramente distinta dal resto d’Italia, dell’Europa, del mondo, della Via Lattea, della Galassia di Andromeda e via dicendo. Nel suo essere speciale sa anche di avere a sua disposizione un’arma speciale, la lingua sarda. È proprio la parola lingua a costituire una certezza assoluta perché «il sardo non è un dialetto, ma una lingua». Il sardo medio ricorda questo concetto a chiunque osi affiancare colpevolmente le parole “dialetto” e “sardo”. E ha ragione. Quel che ignora è che – a detta della maggior parte degli studiosi di linguistica – non esiste differenza se non politica tra lingua e dialetto. Ciò che resta vero è che il sardo sia una lingua e bene fa il sardo medio a ricordarlo a tutti.
Su cumbidu (al bar a bere). Chi entra in un qualsiasi bar dell’interno della Sardegna che non sia di sua competenza territoriale, deve sapere ed essere cosciente di una cosa: il portafoglio non gli serve. A servirgli invece sarà un fegato sano e allenato perché non appena sarà individuato come forestiero dovere dei sardi medi avventori di quel bar sarà di offrirgli qualsiasi bevanda di suo gradimento, possibilmente alcolica. Che sia una birretta, un bicchiere di vino, un mirto o un filu’e ferru non importa. Al sardo medio interessa solo stare insieme, brindare alla vita e cumbidare da bere nei bar di propria competenza territoriale. La domanda ufficiale de su cumbidu è la seguente: «Itta buffas?». Vietato per legge rispondere «niente, grazie» oppure, peggio, «un bicchiere d’acqua». Siete avvisati.
La pastorizia. Quando un sardo medio avvista delle pecore viaggiando in autostrada lontano dall’isola si sente un po’ a casa. Abituato ad avvistarne continuamente lungo tutta la dorsale della Sardegna, il sardo medio è ormai profondamente consapevole della grande ricchezza economica, culturale e sociale che la pastorizia conferisce alla propria terra. Grazie alla pastorizia la Sardegna è di gran lunga il primo produttore in Italia di latte e formaggi pecorini e caprini. Da questa antica professione nascono alcuni dei prodotti più straordinari della nostra gastronomia, come la ricotta e il pecorino, declinato in tutte le sue forme. Sono ormai lontani i tempi in cui la pastorizia era etichettata come mestiere arretrato e dequalificante. Il sardo medio si è finalmente liberato di questi assurdi pregiudizi e ha capito in cuor suo che la pastorizia è un’arte. Se fatta bene.
I nonni. Nella terra dei centenari, riconosciuta a livello globale come una “blue zone” della longevità un ruolo fondamentale nella società è rivestito dai nonni. Custodi del sapere antico, cantori di miti e leggende, baby sitter professionisti e amorevoli, inguaribili colpevoli di vizi e coccole nei confronti dei cari nipoti, cuoche e arrostitori inarrivabili e spesso – negli ultimi anni – welfare aggiunto per i figli in un’economia precaria e traballante. Tutto questo e tanto altro sono i nonni e le nonne della Sardegna, patrimonio umano dal valore inestimabile. Da segnalare le loro performance da animatori durante gli interminabili pranzi di Pasqua e Natale da loro stessi preparati, dove spesso con le loro gag e la loro autoironia rendono tutto più leggero. I nonni sono un pilastro immancabile nella vita di ogni sardo medio.
Su ballu tundu, sa launedda e il canto a tenore. Bello il sirtaki greco, la taranta salentina e la tarantella napoletana. Ma vuoi mettere con su ballu tundu accompagnato dal suono ripetitivo della launedda e dall’armonia del canto a tenore di un coro vocale? Per un sardo medio ovviamente non c’è paragone. Sono questi i suoni che fanno immediatamente pensare alla Sardegna e alla “sarditudine”. Cose semplici che da secoli fanno stare insieme in una qualsiasi piazza dell’isola uomini, donne e bambini, riuniti per una sagra o una celebrazione. Dove ci sono queste cose per un sardo medio c’è automaticamente una festa.
L’orgoglio (sardinian pride). Ma a unire tutti i pilastri del sardo medio ce n’è uno in particolare: l’orgoglio. Perché magari il sardo medio certe volte si vergognerà del proprio accento marcato, si lamenterà del suo isolamento e delle condizioni di povertà economica dell’isola, ma resterà sempre, indubitabilmente, orgoglioso della propria identità. Perché? Beh, basterebbe leggere gli altri 9 punti di quest’articolo, sono sicuramente pilastri di cui ogni sardo medio dovrebbe andare fiero.
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