Er romanaccio: conoscete la storia del dialetto romano?

Il dialetto romano ha una storia antica che affonda le radici nell'evoluzione della lingua latina. Ciò che rende divertente questo dialetto è l’assenza di inibizioni linguistiche con uso frequente della parolaccia e del turpiloquio
Il dialetto romano: un patrimonio di storia, cultura e identità.
Il dialetto romano, conosciuto anche come romanesco e talvolta scherzosamente chiamato “romanaccio” dagli stessi abitanti della capitale, rappresenta molto più di una semplice variante linguistica; è un vero e proprio patrimonio identitario che si radica profondamente nel cuore di Roma e delle aree circostanti del Lazio. Questa forma di espressione linguistica si distingue per la sua vitalità, il suo fascino e la sua capacità di raccontare secoli di storia, cultura e trasformazioni sociali. Le sue origini affondano nel latino volgare, la lingua parlata dal popolo durante l’antichità, e nel corso dei secoli ha evoluto caratteristiche uniche che ne fanno un simbolo di appartenenza e di tradizione. La sua storia è ricca e affascinante, riflettendo i numerosi cambiamenti che hanno attraversato la città di Roma nel corso dei secoli. Dal periodo romano classico, passando per le dominazioni barbariche, il Rinascimento e l’epoca moderna, il dialetto romano ha subito influenze, ma ha mantenuto intatto il suo carattere distintivo, diventando un elemento di identità collettiva. La parlata romanesca non è solo un modo di comunicare, ma anche un veicolo di cultura popolare, di humor, e di storie tramandate di generazione in generazione. È un linguaggio che sa essere scherzoso e ironico, ma anche profondo, e che riesce a racchiudere l’anima della città eterna, con le sue contraddizioni e la sua grandezza. Oggi, il romanesco continua a vivere, non solo tra gli anziani e nelle tradizioni popolari, ma anche nel cinema, nella musica e nei social media, dove mantiene vivo il suo spirito autentico e spontaneo. È un simbolo di Romanità che resiste al tempo, testimone di un passato che si intreccia con il presente, e che rende la capitale italiana un luogo unico al mondo, capace di parlare con la sua voce più genuina e colorita.
Uno degli aspetti più curiosi e iconici del romanesco è la sua schiettezza, che si manifesta in un linguaggio diretto, senza filtri, e spesso condito da espressioni colorite, incluse parolacce e termini di turpiloquio. Questa caratteristica, che oggi viene percepita con ironia e affetto, trova le sue origini in un passato in cui la vita a Roma era dominata da un popolo vivace e talvolta ruvido, formato da artigiani, commercianti e altre classi popolari. Durante il periodo dell’era papalina, quando la città era al centro della politica religiosa e amministrativa, anche il modo di esprimersi rifletteva questa autenticità priva di formalismi e filtri.
Ciò che potrebbe sorprendere è che non solo il popolo adottava questo linguaggio, ma persino le classi più alte della società, come i nobili e il clero, non erano estranee a espressioni altrettanto vivaci e dirette. Questo dettaglio svela come il romanesco non fosse semplicemente il dialetto delle strade, ma anche una lingua capace di attraversare i confini sociali e di rappresentare, in modo unico, l’anima della città eterna.
Ha origine dal latino volgare, che era la forma parlata del latino classico e che iniziò a differenziarsi nei vari territori dell’Impero Romano. Nel corso dei secoli, l’interazione con popoli stranieri, le invasioni barbariche, le migrazioni e altre influenze linguistiche hanno contribuito alla formazione di dialetti regionali, incluso il romanesco.
Durante il periodo medievale il dialetto romano si sviluppò ulteriormente, ma la lingua predominante per la scrittura e la comunicazione formale continuò ad essere il latino. Nel Rinascimento, Roma e il Lazio furono al centro di importanti cambiamenti culturali e linguistici, ma il romanesco continuò ad essere principalmente una lingua parlata.
È nel corso del XVI e XVII secolo, che il romanesco iniziò ad apparire nella letteratura e nel teatro romano. Opere di autori come Giuseppe Gioachino Belli, Trilussa, e Giovan Battista Marino scrissero poesie e opere in dialetto romanesco, contribuendo a preservare e diffondere la lingua.
Il dialetto ha subito un processo di fiorentinizzazione nel periodo antecedente l’unità d’Italia e questo lo ha reso molto simile all’italiano, pur presentando una varietà notevole di espressioni colorite.
Nel corso del Novecento, con la diffusione dell’italiano standard come lingua nazionale, il romanesco ha inizialmente perso terreno, soprattutto nelle aree urbane. Tuttavia, alcuni scrittori, poeti, e registi continuarono a utilizzare il dialetto nelle loro opere, contribuendo a mantenerne viva l’identità culturale. L’italiano standard, insegnato a scuola e utilizzato nei mezzi di comunicazione, ha avuto un impatto sulla diffusione dei dialetti regionali, inclusi quelli parlati a Roma. Nonostante ciò, il romanesco rimane una parte preziosa del patrimonio culturale e linguistico della città eterna.
Oggi, il romanesco è ancora parlato e rappresenta una parte importante della cultura romana e laziale. In riferimento al gergo delle periferie, si parla di neoromanesco.

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