Modi di dire romani: da dove deriva l’espressione “Che tajo”?

Un'espressione usatissima da tutti i romani: ma sapete da dove deriva? Ecco la spiegazione!
“Che tajo!”: un’esclamazione romana piena di colore, risate e significato
Andando all’origine delle espressioni gergali romane, ci si imbatte spesso in modi di dire coloriti, immediati e capaci di restituire, in poche parole, tutto il sapore della parlata popolare della Capitale. Tra questi, uno dei più utilizzati nel linguaggio quotidiano è senza dubbio “che tajo!” – forma dialettale che corrisponde all’italiano “che taglio!”. A prima vista potrebbe sembrare un riferimento a qualcosa di letterale, ma nel contesto romano assume tutt’altro significato. Utilizzato come esclamazione, “che tajo!” viene pronunciato per esprimere un momento di grande divertimento, una situazione spassosa, un episodio che suscita risate e ilarità. È una frase che compare con naturalezza nei racconti tra amici, davanti a qualcosa che fa ridere sul serio, in quelle occasioni in cui si sta bene e si ride di gusto, magari per una battuta ben riuscita o una scena comica improvvisa. Fa parte di quell’universo espressivo tipicamente romanesco che sa essere diretto, coinvolgente e sempre ricco di ironia. Dire “che tajo!” è come fotografare un attimo di leggerezza e condividerlo con gli altri, facendo parte di quel modo tutto romano di stare al mondo con spirito brillante e contagiosa allegria.
Viene declinato in vari modi, sia in senso descrittivo come abbiamo visto ( “sei un tajo!”), o più generico ( “Aò che tajo! ‘Nce se crede Lo studio sociologico dei fatti linguistici, basato sull’analisi delle interrelazioni esistenti tra organizzazione e funzionamento della società umana e l’organizzazione e il funzionamento del linguaggio verbale.!”), ma anche come verbo (“se tajamo”).
Addentrarsi allo studio sociologico dei fatti linguistici significa scavare fino alle radici della società umana.
Come per tutte le espressioni, ci sono diverse ipotesi sulle sue origini.
Il regista Francesco Bruni avrebbe ipotizzato, durante un’intervista su l’Espresso, in riferimento al film “Scialla!” che il modo di dire sia collegato al gergo carcerari in quanto “tajo” significherebbe anche “bello”, “da rispettare”. Infatti in prigione, chi presentava degli sfregi sul volto e tatuaggi ben visibili era visto come “forte”, “fico”, “da ammirare”.
Chi non è di Roma si chiede perché qualcosa di divertente sia associato al taglio, al dolore.
Fatto che è spiegato da un’altra possibilità: “sbellicarsi dalle risate” porterebbe (su un piano metaforico) a delle “lacerazioni” del ventre. Da qui la derivazione sul “tagliarsi”. Del resto esiste anche il detto “ridere e mangiare a crepapelle” ossia moltissimo, in maniera esagerata e sguaiata, in modo quasi da scoppiarne, fino a provocare delle “crepe” dei “tagli”.
Se ridere a crepapelle sarebbe stato usato da Carlo Collodi in “Pinocchio”, dove un serpente, alla vista del burattino per il troppo ridere morì in seguito ad uno strappo di una vena, poco chiare sono invece le derivazioni etimologiche di “tajo”.
Un’alternativa ipotizzata dai più giovani è il riferimento all’uso di droghe in quanto usate per “sballarsi”, “divertirsi”, ma l’espressione essendo più antica della diffusione delle sostanze stupefacenti, la renderebbe meno probabile.
La derivazione è resa ancora meno chiara per il fatto che esiste anche un altro modo di dire: “me sto a tajà le vene” con palese riferimento al suicidio, per indicare invece una situazione talmente noiosa e antipatica da subire indurre addirittura ad un atto estremo pur di terminare la sofferenza (“a lezione me so’ tajato le vene”).

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