La ricetta degli antichi romani: il ghiro, un piatto prelibato dell’antichità

Nel panorama culinario dell'antica Roma, la varietà e la ricchezza dei piatti preparati dai romani ci parlano di un mondo gastronomico sofisticato, dove anche gli ingredienti più insoliti diventavano prelibatezze servite nei banchetti. Tra questi, uno degli alimenti più curiosi che appare nelle fonti storiche è il ghiro, un piccolo mammifero che veniva consumato in modo speciale nell'antichità
La ricetta degli antichi romani: il ghiro, un piatto prelibato dell’antichità.
Nel panorama culinario dell’antica Roma, la varietà e la ricchezza dei piatti preparati dai romani ci parlano di un mondo gastronomico sofisticato, dove anche gli ingredienti più insoliti diventavano prelibatezze servite nei banchetti. Tra questi, uno degli alimenti più curiosi che appare nelle fonti storiche è il ghiro, un piccolo mammifero che veniva consumato in modo speciale nell’antichità, un roditore che appartiene alla famiglia degli Sciuromorfi, simile a un piccolo scoiattolo, ma più grande e dedito alla vita notturna. La sua carne, tenera e saporita, veniva considerata una prelibatezza, tanto che veniva servita durante i banchetti più eleganti e nei pasti dei patrizi.
A svelarci questa usanza sono gli storici romani Plinio il Vecchio e Apicio, che descrivono i ghiri come un alimento ricercato. Plinio il Vecchio ne accenna l’uso nel suo “Naturalis Historia” mentre il Marco Gavio Apicio, nel suo trattato culinario “De re coquinaria”, descrive nel dettaglio come preparare il ghiro per una cena sfarzosa.

Piatto a base di ghiro
Il ghiro veniva catturato durante l’estate, quando il suo grasso era più abbondante, e veniva allevato in apposite gabbie per migliorare la qualità della carne.
I romani adottavano diverse tecniche culinarie, ma quella più comune prevedeva l’arrostimento o la farcitura con ingredienti aromatici.
Una delle ricette più famose è quella che lo prevede imbottito di spezie: il ghiro veniva dapprima eviscerato e poi riempito con un mix di fichi secchi, frutta secca, pepe, erbe aromatiche e talvolta anche garum (una salsa di pesce fermentato, molto utilizzata nella cucina romana). Successivamente, il ghiro veniva arrostito, a volte anche sottoposto a una cottura lenta in forno o su fuoco diretto, fino a che la carne diventava morbida e saporita.
Un’altra variante della ricetta prevedeva che il ghiro fosse cucinato in una salsa agrodolce, spesso a base di vino, miele e aceto, per esaltare il contrasto di sapori tra il grasso dell’animale e l’acidità della salsa.
Mangiare ghiri non era solo una questione di gusto, ma anche di status sociale visto che si trattava di un alimento che richiedeva una certa disponibilità economica per essere acquistato e quindi la sua presenza indicava un alto livello di opulenza e di raffinatezza. Inoltre anche la sua cattura ed il suo allevamento erano piuttosto costosi, non era un cibo da consumare quotidianamente, ma un piatto da riservare per le occasioni speciali, come banchetti e celebrazioni: nei convivi il ghiro veniva servito insieme ad altri cibi rari e pregiati, come cinghiali, fagiani e pesci esotici, per stupire gli ospiti con un’abbondanza di pietanze rare.
Col passare dei secoli, l’utilizzo del ghiro nella cucina romana è andato lentamente scemando. La crescente difficoltà di procurarsi questi roditori, unita alla diffusione di nuovi alimenti e tecniche culinarie, ha portato alla scomparsa di questo piatto.
Credit foto:
1) Wikipedia Commons, Sasso Pisano
2) immagine solo esemplificativa di un piatto di carne, www.freepik.com

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