Scaramanzia nell’Antica Roma, gestacci e scongiuri sin da allora

I Romani credevano fortemente nell'esistenza di forze soprannaturali che potevano influenzare il destino degli individui, delle famiglie e della comunità. Vediamo quali erano le pratiche superstiziose ed il rapporto con la fortuna nell'antichità.
Scaramanzia nell’Antica Roma, gestacci e scongiuri sin da allora.
I Romani credevano fortemente nell’esistenza di forze soprannaturali che potevano influenzare il destino degli individui, delle famiglie e della comunità. Vediamo quali erano le pratiche superstiziose ed il rapporto con la fortuna nell’antichità.
La scaramanzia, ovvero l’arte di allontanare il malocchio e le influenze negative, era una pratica diffusa nell’antica Roma, che permeava ogni aspetto della vita quotidiana, dai rituali di nascita alle celebrazioni funebri.
Le radici della scaramanzia romana si intrecciano con le tradizioni religiose e superstiziose dei popoli italici e dei vari culti che si svilupparono in Italia.
Gli “auguri” erano sacerdoti specializzati che interpretavano i segni degli dei osservando il volo degli uccelli, potevano avvertire i cittadini riguardo presagi negativi o positivi e venivano spesso consultati prima di decisioni importanti.

Volo di uccelli al tramonto
L’augure aveva sempre con sé il lituo, un bastone ricurvo a forma di punto interrogativo, conservava il proprio ruolo per tutta la vita ed era molto rispettato, al punto che chi lo offendeva poteva essere condannato a morte.
Secondo la leggenda quest’ordine sacerdotale sarebbe stato fondato da Romolo, il quale osservava gli uccelli dal Palatino e suo fratello Remo dall’Aventino.
Altra tipologia di sacerdoti erano gli “aruspici”, in grado di prevedere il futuro consultando le viscere degli animali.
In caso di guerre, i leader ricorrevano a rituali propiziatori e offrivano sacrifici agli dei per cercare di influenzare il destino. Ad esempio Decio Mure, politico e militare romano, (295 a.c.) si suicidò in sacrificio agli dei Mani e alla Terra, durante la battaglia di Sentino che oppose i Romani ad una coalizione di Etruschi, Sanniti e Galli.
I romani portavano spesso con sé oggetti ritenuti protettivi, come il “fascinum”, un amuleto a forma fallica che simboleggiava fertilità e protezione con cui usavano adornare i carri.
Un discorso a parte merita il culto della dea Fortuna in epoca romana, Dea del caso e del destino.
Un simbolo degno di significato è il “corno dell’abbondanza”, associato alla fertilità, emblema del complesso di beni necessari alla vita umana. Traccano riporta: “la leggenda voleva che essendosi spezzato uno dei corni della capra Amaltea che nutriva il piccolo Giove, il corno fosse riempito di frutti, circondato di fronde, e donato da Giove alle ninfe. Un’altra leggenda voleva che Ercole, vinto Acheloo, gli strappasse uno dei corni e lo consacrasse ugualmente alle ninfe. È probabile che nel corno di abbondanza si debba vedere solo una trasformazione del corno di animale, di cui in antico ci si serviva come di vaso da bere. Spontanea doveva nascere l’idea di accoppiare il corno da bere coi frutti, a significare quello che in un’umanità primitiva doveva bastare per il benessere della vita. Ed è naturale che l’emblema divenisse specialmente l’attributo degli dei che dispensano i beni terreni.”
Il gesto di fare le “corna” ossia di allungare il mignolo e l’indice, l’uso di formule magiche e incantesimi erano praticati sin da allora allo scopo respingere le energie negative.
Anche mettere il pollice tra l’indice ed il medio, ossia “fare le fiche” era un modo per scongiurare la fortuna, così come toccarsi i genitali (pratica in voga anche oggi) o fare il gesto del tre era un modo per esorcizzare la cattiva sorte.
Spazzare le briciole di cibo era mal visto e per allontanare i demoni bisognava togliersi di dosso oggetti di forma circolare.

La lupa con Romolo e Remo
Plino Il Vecchio nel suo “Naturalis Historia” afferma che Cesare aveva l’abitudine di ripetere la stessa filastrocca prima di salire sul carro.
Anche le celebrazioni e le festività religiose erano occasioni per cacciare la sfortuna, ma non dimentichiamo che la magia, in epoca romana, era considerata un reato che poteva essere punito con la pena capitale, coerentemente con ciò che diceva la legge “lex Cornelia de sicariis et veneficis” emanata dal dittatore Silla nell’81 a.C.
A tal proposito ricordiamo che Apuleio, fu accusato dai parenti della moglie di aver sedotto la donna con incantesimi e magie per estorcerle denaro e lo scrittore, filosofo e retore romano, scrisse in autodifesa il testo “Apologia” nel 158 d.c. ed ebbe salva la vita.
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