Detti e modi di dire: “Veloce che c’ho prescia”. Origini e significato
Pare che le origini del termine prescia siano affidate a due ricostruzioni, una etimologica e una assai più curiosa.
Detti e modi di dire: “Veloce che c’ho prescia”. Origini e significato
Pare che le origini del termine prescia siano affidate a due ricostruzioni, una etimologica e una assai più curiosa.
Roma è una città meravigliosa, certo, ma è senza dubbio anche una metropoli caotica e trafficata. Il tempo corre veloce nella capitale e tutto intorno a noi sembra avere un ritmo sostenuto. C’è poco spazio per le congetture, si bada più alla sostanza, e la maggior parte dei romani non ama troppo perdersi nei pragmatismi. Roma è razionale, decisa, non se cincischia, Roma è ‘na città che va de prescia. Ecco, la prescia, i romani la usano per riferirsi alla fretta e molto spesso ha un’accezione negativa. Viene utilizzata per lo più per manifestare uno stato di “ansia” e sarà capitato a tutti di sentire o utilizzare “Aho, ma che c’hai prescia? Mettete a sede”, oppure “Me stai a mette la prescia”. Ma da dove arriva questo modo di dire? Ci sono due ricostruzioni, una legata all’etimologia e un’altra, come spesso accade alla corte del Colosseo, riferita a storie di paese tramandate negli anni.
Il termine prescia pare derivare dal latino, più precisamente dal verbo “premere” che declinato al participio passato femminile diventa “pressa”. Ma non è finita qui perché all’interno dell’Impero romano c’erano diverse varianti della lingua latina e “pressa” è presto diventato “pressia” in latino volgare. Questo termine veniva utilizzato per lo più in ambito meccanico e faceva riferimento alle macchine impiegate per esercitare delle pressioni. Si potrebbe quindi supporre che prescia abbia conservato il sentimento di ansia e stress proprio perché in relazione con macchinari destinati a mettere degli oggetti sotto pressione.
Archiviata la questione etimologica si arriva poi ad una spiegazione meno scientifica ma non per questo priva di fondamento. La prescia potrebbe essere un’eredità lasciata dal Carnevale romano, evento che si svolgeva all’epoca della Roma papalina, più o meno tra il Settecento e i primi dell’Ottocento. Durante i festeggiamenti si svolgeva una gara ippica fatta però senza fantini, chiamata la corsa dei berberi perché i cavalli provenivano dall’Arabia. Pare che gli animali venissero sottoposti ad un curioso trattamento per permettergli di andare più veloce. In sostanza gli veniva applicata sotto la coda una pece urticante e questo residuo di catrame veniva chiamato prescia. Anche se più popolare e colorita questa spiegazione non va scartata a priori visto che a Roma tra le tante declinazioni di prescia spesso e volentieri si usa anche dire “che c’hai la prescia ar culo?”. Coincidenze?
© RIPRODUZIONE RISERVATA