Un cazzotto a Michelangelo Buonarroti. L’alterco con un nemico che gli ruppe il naso
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Nel vasto panorama dell'arte rinascimentale italiana, Michelangelo Buonarroti è una figura di rilievo indiscusso. Le sue opere straordinarie, come il David, la Pietà, la Cappella Sistina, continuano a suscitare meraviglia e ammirazione nei visitatori di tutto il mondo a Firenze e a Roma. Già Vistanet ha parlato del danno che subì la Pietà per opera di un vandalo, che colpì il naso della statua fratturandola.
Un cazzotto a Michelangelo Buonarroti. L’alterco con un nemico che gli ruppe il naso.
Nel vasto panorama dell’arte rinascimentale italiana, Michelangelo Buonarroti è una figura di rilievo indiscusso. Le sue opere straordinarie, come il David, la Pietà, la Cappella Sistina, continuano a suscitare meraviglia e ammirazione nei visitatori di tutto il mondo a Firenze e a Roma. Già Vistanet ha parlato del danno che subì la Pietà per opera di un vandalo, che colpì il naso della statua fratturandola.
Non tutti sanno però che anche al genio del Rinascimento ruppero il naso con un pugno. L’incidente avvenne in seguito ad un litigio con Pietro Torrigiano, uno scultore contemporaneo al più noto Buonarroti. Il fatto è stato narrato da Benvenuto Cellini che scrive un dialogo avuto con lo stesso Torregiano che dichiara di essere stato offeso da Michelangelo. ”… mi venne assai più stizza che ‘l solito e, stretto la mana, gli detti sì grande il pugno in sul naso, che io mi sentì fiaccare sotto il pugno quell’osso e tenerume del naso come se fusse stato un cialdone: e così segniato da me resterà insin che vive”.
Cellini racconta che il pugno fu sferrato nella Cappella Brancacci di Firenze, mentre Giorgio Vasari conferma la scazzottata ma non il luogo, indicando la sede della rissa presso il Giardino di San Marco.
In seguito a questa violenta reazione, Lorenzo de’ Medici esiliò Pietro Torregiano dalla Toscana, il quale riparò in Spagna dove incontrò fortuna.
Mentre Torregiano era piuttosto noto per la sua ambizione e la sua avvenenza, Michelangelo soffrì per tutta la vita a causa dell’aspetto deturpato dal pugno, al punto che troviamo nei suoi scritti: “La faccia mia ha torma di spavento”. Una vera e propria dichiarazione di dismorfofobia, un disturbo somatoforme molto diffuso nei tempi moderni, dove la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico diviene ossessione, al punto da incidere sulla qualità dell’esistenza di chi ne soffre. Chi vive questo disturbo attraversa un grave disagio tormentoso passando molto tempo durante la giornata a pensare a come porre rimedio al proprio difetto.
All’epoca Michelangelo non poteva ancora di certo ricorrere ad una rinoplastica e ritroviamo diversi ritratti dell’artista con il naso storto.
Un altro simpatico aneddoto riguarda invece il naso del David, per il quale il gonfaloniere della Repubblica Piero Soderini, ebbe da ridire descrivendolo come “troppo grosso”. Non si sa se fosse un modo per colpire indirettamente Michelangelo, ma in quell’occasione lo scultore finse di usare lo scalpello per rendere più fino il naso e poi lo mostrò a Soderini, ingannandolo. Quest’ultimo, tronfio, si vantò che grazie ai suoi consigli il David raggiunse la perfezione.
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“Sta ‘n campana” si dice a Roma. Ma da dove arriva questa espressione?
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“Stare in campana” è un’espressione del dialetto romano che si utilizza per invitare qualcuno a prestare attenzione, ma da dove arriva questo modo di dire?
“Me raccomando, sta ‘n campana”, si usa dire a Roma. È un’espressione che viene utilizzata quando si invita qualcuno a tenere gli occhi aperti, a prestare attenzione. Più che un invito è una sorta di raccomandazione, un premuroso modo di dire che esprime affetto e legame emotivo. Per conoscere l’origine di questo detto romano bisogna però fare un passo indietro.
Roma è la città delle chiese, ce ne sono oltre quattrocento (uno dei tanti primati mondiali della capitale d’Italia) e sono collocate in tutte le piazze romane, tutte tranne quella di Campo de Fiori. Vista la presenza massiccia di luoghi dedicati alla fede c’è da aspettarsi un cospicuo numero di campane, ce ne sono infatti circa 1260 (secondo un calcolo fatto nel 1907) e per decenni hanno scandito e accompagnato la vita quotidiana dei cittadini romani. Oggi risuonano come un sottofondo e a stento ci si accorge dei loro rintocchi ma le campane in passato hanno svolto una funzione sociale anche piuttosto importante. Senza cellulari e orologi da polso era il campanaro a scandire i tempi delle città; le campane non invitavano solamente i romani alla preghiera nelle ore canoniche ma segnavano lo scorrere delle ore durante il giorno. Non solo, la voce grossa del battocchio annunciava eventi e risuonava in caso di urgenze; prestare attenzione alle campane era piuttosto importante e un orecchio puntato ai suoi rintocchi era sempre bene averlo.
Esiste quindi una relazione tra l’importanza di prestare attenzione alle campane e il detto “stare in campana”?
Con buona probabilità si, anche se non si hanno delle evidenze scientifiche. Le campane avevano un loro codice e i rintocchi suonavano delle ritmiche diverse a seconda delle situazioni. Erano un richiamo all’attenzione pubblica in caso di pericolo imminente come incendi, invasioni o minacce legate a calamità naturali. Ecco perché, presumibilmente, “stare in campana” è un chiaro riferimento allo “stare attenti al suono della campana”, l’unica, tempo addietro, in grado di avvisarci e proteggerci. A conferma di questa tesi ci viene in aiuto anche un altro detto legato all’accudimento e alla protezione: “Stare sotto una campana di vetro”. L’origine sembra essere la stessa infatti anche se in questa ultima espressione si nasconde spesso un eccesso di premura.
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