Malocchi e fatture, gli antichi romani erano superstiziosi

Gli antichi romani venivano considerati concreti e pragmatici, erano un popolo di conquistatori. Nonostante il loro essere cosi risoluti non mancavano però di ricorrere a scongiuri e scaramanzie.
Malocchi e fatture, gli antichi romani erano superstiziosi.
Gli antichi romani venivano considerati concreti e pragmatici, erano un popolo di conquistatori. Nonostante il loro essere cosi risoluti non mancavano però di ricorrere a scongiuri e scaramanzie.
L’Impero Romano richiama da sempre fascino e bellezza, Roma è stata padrona del mondo per più di mille anni spinta dalla fame di conquista e del valore del suo popolo. Nonostante fossero considerati da sempre pragmatici e concreti gli antichi romani cedevano spesso e volentieri a scongiuri e riti per ingraziarsi la sorte e ricorrevano sovente alla divinazione cercando di interpretare il volere degli dei. A Roma nessuno iniziava un’attività senza essersi prima accertato di avere le divinità dalla propria parte ma questa non sembrerebbe essere una pratica insita nella cultura romana, pare infatti che riti propiziatori e superstizioni varie fossero un’eredità delle tante campagne militari condotte dall’impero. Come ogni popolo di conquistatori anche i romani subirono le influenze delle comunità annesse e molte scaramanzie potrebbero essere il risultato di vecchi miti appartenenti ad altre culture poi tramandati e storpiati nel tempo.
Il calendario contro la jella
Il calendario romano era ripartito in giorni favorevoli (dies fasti) e sfavorevoli (dies nefasti), cioè momenti dell’anno buoni per iniziare delle attività, chiudere degli affari, seminare e partire per delle avventure militari e momenti in cui era sicuramente meglio temporeggiare ed evitare sciagure. Le giornate nemiche della dea bendata erano principalmente il secondo giorno del mese, le none (quinto o settimo a seconda dei mesi) e le idi (quindicesimo o tredicesimo giorno del mese) ai quali si aggiungevano date che ricordavano anniversari di eventi negativi. Una su tutte era il 18 luglio, i romani avevano ribattezzato questa giornata come “Catastrofe Gallica” in ricordo della sconfitta ricevuta dai galli nel 387 a.C.
Oggi gatti neri, ieri cani, topi e muli
Era considerato di cattivo presagio un cane nero (vi ricorda qualcosa?) che entrava in casa, topi che facevano buchi nei sacchi di farina e muli che trasportavano ipposelino, una pianta utilizzata come ornamento per i sepolcri. Anche rovesciare vino, acqua e olio (noi ci limitiamo al sale) era sinonimo di sventura e tra i romani erano diffusissimi amuleti e talismani dalle millantate capacità esoteriche. Ma queste dicerie riguardavano solo il popolino? Nient’affatto, persino personaggi come Giulio Cesare erano vittima della superstizione e non mancavano di allontanare la jella. Plinio racconta che in seguito alla rottura del carro durante la celebrazione del Trionfo il dittatore romano fosse solito recitare tre scongiuri per condurre il viaggio in sicurezza: carmine ter repetito securitatem itinerum aucupari solitum.
Divinazione e volere degli dei
L’interpretazione del volere delle divinità era affidata agli Àuguri, sacerdoti in grado di tradurre i segni degli dei osservando il volo degli uccelli. Quando invece si verificavano eventi gravi e incontrollati i romani si rivolgevano ai Decemviri, anch’essi sacerdoti, che si occupavano dell’interpretazione dei Libri Sibillini, una raccolta di testi scritti in greco.
La maggior parte di queste credenze sono finite nel dimenticatoio, altre invece ci suonano familiari. Un po’ come nel gioco del telefono queste dicerie sono arrivate a noi trasformate dal tempo, proprio come accaduto ai romani parecchio tempo fa.

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