Detti romani. “Fa ‘na figura da peracottaro”: perché si usa questa espressione?

Quando ci si imbatte in una figuraccia a Roma si viene spesso appellati come Peracottari, ma perché?
Dal dialetto di una regione o di una città alcune volte si possono cogliere degli indizi interessanti che aiutano a ricostruire pezzi di storia o anche semplicemente vecchie abitudini. Alcuni modi di dire arrivano alle nostre orecchie perché ereditati da nonni e genitori e nel tramandare queste espressioni dialettali spesso si finisce col dimenticare da dove arrivano. Conoscere le origini dei proverbi e dei detti popolari ci aiuta a contestualizzare le espressioni di paese, attenzione quindi a non lanciarvi in terreni poco conosciuti perché il rischio è quello di fare ‘na figura da peracottaro.
A Roma, essere definito “peracottaro” non è certo un complimento, né tantomeno una qualità desiderabile. Nel dialetto romano, l’espressione “fare una figura da peracottaro” si usa per descrivere chi, con un comportamento poco accorto o goffo, finisce per mettersi in ridicolo o per trovarsi in situazioni particolarmente imbarazzanti. Questo modo di dire, profondamente radicato nella tradizione popolare della capitale, trae origine da un antico mestiere che caratterizzava i mercati e le fiere di paese: quello del peracottaro.
Il termine indica specificamente i venditori ambulanti che si dedicavano alla vendita di pere cotte, un prodotto semplice e poco costoso. Questi commercianti proponevano la loro mercanzia, spesso considerata di qualità modesta, a una clientela altrettanto popolare. Per questo motivo, la figura del peracottaro era associata a un’immagine umile, se non addirittura di scarsa considerazione sociale. In effetti, nel contesto dell’epoca, la loro attività veniva vista come un lavoro di ripiego, svolto da chi non aveva molte altre opportunità.
Col tempo, l’immagine del peracottaro si è trasformata in un simbolo figurativo per indicare una certa approssimazione, ingenuità o mancanza di prestigio. Quando si dice che qualcuno ha fatto “una figura da peracottaro”, si sottolinea, dunque, non solo l’aspetto umoristico o goffo della situazione, ma anche un implicito giudizio sociale, che rimanda all’origine di questo mestiere semplice e poco stimato. La ricchezza del dialetto romano, sempre capace di coniugare ironia e storia, ha così tramandato un’espressione che ancora oggi viene utilizzata con leggerezza, ma anche con un fondo di saggezza popolare.
Sarebbero quindi questi i motivi per cui a Roma si associa la figura del peracottaro a qualcuno che inciampa maldestramente in una figura barbina e poco dignitosa.
Una parziale conferma delle origini di questo modo di dire la fornisce l’enciclopedia Treccani che assicura che il peracottaro era effettivamente un venditore di pere cotte, quindi almeno sulla professione non sembrerebbero esserci dubbi. Come tutte le tradizioni verbali non scritte però è bene conservare un grado di incertezza in quanto molto spesso proverbi e espressioni dialettali soffrono di tutta una serie di inevitabili contaminazioni culturali dovute al cambiamento delle abitudini e dello stile di vita.
Il mestiere del peracottaro è andato via via estinguendosi e oggi tra i banchi dei mercati rionali è impossibile trovarlo. La sua specialità però è rimasta viva nei libri di cucina e le pere cotte trovano largo spazio tra i dessert di ristoranti più o meno blasonati. Il piatto è stato anche parzialmente rivisitato e le pere sono spesso accompagnate da una salsa di vino o da una crema al cioccolato. I più conservatori le preferiscono ancora al naturale ma per i palati più estremi e goderecci esiste anche una variante con gelato e panna.

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