Morte di un commesso viaggiatore. A Roma il dramma di Arthur Miller più contemporaneo che mai. Con Alvia Reale e Michele Placido

Si è svolto al Teatro Quirino di Roma dal 22 febbraio al 6 marzo “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller per la regia di Leo Muscato interpretato da Michele Placido e Alvia Reale. Ci siamo recati ad assistere allo spettacolo dove Placido alla fine ha ringraziato gli spettatori di essere presenti in un periodo controverso tra guerra e pandemia, affermando che la partecipazione alla cultura è in questo momento più necessaria che mai.
Morte di un commesso viaggiatore. A Roma il dramma di Arthur Miller più contemporaneo che mai. Con Alvia Reale e Michele Placido.
Articolo di Rita Chessa.
Si è svolto al Teatro Quirino di Roma dal 22 febbraio al 6 marzo “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller per la regia di Leo Muscato interpretato da Michele Placido e Alvia Reale. Ci siamo recati ad assistere allo spettacolo dove Placido alla fine ha ringraziato gli spettatori di essere presenti in un periodo controverso tra guerra e pandemia, affermando che la partecipazione alla cultura è in questo momento più necessaria che mai.
Arthur Miller in quegli anni, attraverso la storia di un uomo la cui visione della vita è stata resa opaca dal sogno americano, fa una critica feroce al capitalismo che ha indotto obiettivi e bisogni non necessari alle persone. “Il lavoro che ruba il tempo della vita” è il fulcro di un testo interpretato magistralmente da Alvia Reale, Premio Eleonora Duse 1996 nel ruolo di Linda, moglie del commesso viaggiatore Willy Loman / Michele Placido, subentrato ad Alessandro Haber in seguito a problemi di salute. Parla di un uomo tormentato dall’idea del successo materiale, valore malato che cerca di inculcare ai suoi figli. Degni di nota in questo ruolo, gli attori Fabio Mascagni e Michele Venitucci, intensi e freschi, capaci di calzare perfettamente sia lo stereotipo dei giovani americani del dopoguerra che quello di una generazione ferita dalle ambizioni economiche della propria società.
L’apice emozionale si raggiunge con il monologo finale di Reale che giunge dopo il suicidio del protagonista, parole che hanno commosso il pubblico in sala con un groppo alla gola: “Perdonami, caro, non mi viene da piangere. Chi lo sa perché, non mi viene da piangere. Non capisco. Perché l’hai fatto? Mi sembra che tu sia partito per il solito giro. Sto qui ancora ad aspettarti. Willy caro, non mi viene da piangere. Perché l’hai fatto? Mi sforzo, mi sforzo, ma non riesco a capire, Willy. Ho pagato l’ultima rata della casa oggi. Oggi caro. E la casa è vuota. Abbiamo pagato tutti i debiti. Abbiamo pagato tutti i debiti. Abbiamo pagato tutti i debiti”.
Il testo di Miller arriva nel 1949, 44 anni dopo “The Jungle” di Upton Sinclair, giornalista e romanziere che descrive la povertà di una classe operaia disperata per assenza di sostegno sociale, sottoposta ad orari di lavoro massacranti per un tetto sulla testa che non riescono a pagare.
Miller fu affascinato dal lavoro di Sinclair al punto da trasformare alcuni suoi messaggi in adattamento teatrale.
Abbiamo incontrato alcuni protagonisti nel backstage, Placido era già andato via, ma la luminosità di Reale, Mascagni e Venitucci ci ha investito in pieno.

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