“Mamma Roma” di Pasolini: la paura di Anna Magnani di essere meno autentica dei ragazzi delle strade

Mancano poche settimane dal centenario della nascita del poeta, scrittore, regista Pierpaolo Pasolini. Il 5 marzo compie un secolo uno degli uomini più moderni della cultura italiana. “Mamma Roma” è uno dei film più significativi di Pierpaolo Pasolini ispirato ad una storia realmente accaduta: la morte di Marcello Elisei, un giovane detenuto di 18 anni nel carcere di Regina Coeli legato al letto di contenzione. Ad interpretare la madre, nel ruolo di una prostituta, è Anna Magnani, punto di riferimento mondiale del cinema italiano.
“Mamma Roma” di Pasolini: la paura di Anna Magnani di essere meno autentica dei ragazzi delle strade.
Articolo di Rita Chessa.
Mancano poche settimane dal centenario della nascita del poeta, scrittore, regista Pierpaolo Pasolini. Il 5 marzo compie un secolo uno degli uomini più moderni della cultura italiana.
“Mamma Roma” è uno dei film più significativi di Pierpaolo Pasolini ispirato ad una storia realmente accaduta: la morte di Marcello Elisei, un giovane detenuto di 18 anni nel carcere di Regina Coeli legato al letto di contenzione. Ad interpretare la madre, nel ruolo di una prostituta, è Anna Magnani, punto di riferimento mondiale del cinema italiano.
Mentre è nota la profondissima stima che legava lo scrittore e l’attrice, non tutti sanno che, durante la realizzazione del film, Pasolini e la Magnani furono spesso protagonisti di accesi dibattiti, in particolare su alcune scelte di direzione registica del poeta.
Lui effettuava brevi inquadrature di pochi minuti, mentre lei era abituata a scene più lunghe che le davano la possibilità di masticare il set ed esprimersi al meglio.
In un prezioso documento audio, “Diario al registratore” del 1962, tra i contenuti che Pasolini registrò, ritroviamo l’interessante confronto che ebbero durante la lavorazione del film.
Pasolini: “C’è il problema dell’inquadratura vista ieri, che ci ha angosciato, per diverse ragioni, tutti e due. E su questo siamo tutti e due d’accordo: è una inquadratura che va rifatta. Discutiamo di questa inquadratura, Anna. L’inquadratura in cui tu ridi e chiedi a tuo figlio ‘È bella questa motocicletta che ti ho comprato? È come la volevi te? Quel riso, parlami di quel riso”.
Magnani: “Quel riso. Tu sai meglio di me che, pur restituendo lo spirito con cui tu l’hai concepito, quel riso si può eseguire in tante maniere diverse. Il riso può venire prima, può venire dopo, può venire in anticipo, può venire in ritardo. Io sono una cosa fragilissima. C’è stato un momento in cui ho cominciato la scena e, all’azione, tu mi hai gridato ‘Ridi, ridi. Anna!’ E io ho fatto una risata cretina. Mi sembra che il mio riso in quell’inquadratura sia falso, e siccome non mi è venuto spontaneo (e su questo mi sembra che sia d’accordo anche tu) mi ha fatto perdere l’equilibrio del resto della battuta. Insomma recito male, si, recito male, io, di cui si dice che sono un’attrice consumata, una vecchia volpe”.
Pasolini: “Nel caso della cattiva riuscita di questa inquadratura siamo d’accordo. Però ciò che vorrei farti notare, non proprio a proposito di questa inquadratura, ma a proposito di molte altre inquadrature simili, è questo: il dirti ‘Ridi, ridi’ mentre stai per recitare, cioè il mio imbeccarti dal di fuori, in una specie di iniezione di espressività, è un’abitudine che io ho preso facendo recitare gli attori della strada, alle cui facce io devo dare un colpo di pollice nel momento per loro più inaspettato, quasi a tradimento. Ora tu devi saper comprendere e perdonare questi miei interventi”.
Magnani: “Ma certo, ed è per questo che ne parliamo con tanta tenerezza e tanta amicizia. Anna: “Io ho capito benissimo che tu funzioni con degli attori che prendi e plasmi come una materia grezza. Essi, pur con la loro intelligenza istintiva, sono dei robot nelle tue mani. (…) Se io non ho coscienza precisa di quello che stiamo girando, se tu non mi lasci un po’ libera, non riesco ad immedesimarmi nel personaggio che tu vuoi, io rimango estranea alla vicenda. Ed ecco che i ragazzi che hai preso dalla strada, diventano più autentici di me ed io non voglio che questo confronto il pubblico lo faccia. Perché il pubblico mica si lascia ingannare facilmente”.
Pasolini: “Ma questo è una difficoltà che io avevo calcolato. Anna. Amalgamare te con gli altri era il problema principe del mio nuovo lavoro di regista: ne avevo piena coscienza all’inizio del film. Non sarebbe meglio, su questo, essere reticenti?”.
Magnani: “No, io credo che occorra avere dei piccoli conflitti di chiarificazione. La via d’intesa tra due persone intelligenti si trova sempre. Altrimenti io ho la sensazione di funzionare senza avere la coscienza di quello che faccio; invece io ho bisogno, assoluto, di avere questa coscienza”.
Pasolini: “Questo, più che chiedertelo, lo pretendo. Non voglio che in tutto il nostro lavoro ci sia il minimo d’incoscienza in quello che fai. Dunque: sulla questione specifica di questa inquadratura del “Ridi, ridi, Anna!” siamo d’accordo su due cose: sul fatto che ho torto di intervenire quando reciti; un torto in parte giustificato… e sul fatto che tu hai accettato la mia possibilità di girare unicamente come giro, a piccole monadi figurative”.
Magnani: “Ah, alle volte, prendere una scena e cominciare dalla fine, mi scombussola un pochino, perché non so com’è, come dev’essere l’inizio. Certo tu lo sai, però, da attrice cosciente, vorrei saperlo anch’io!”.
Alla fine, però, la conclusione la ritroviamo in una intervista che Carlo Di Carlo fece alla somma attrice: “Sono molto affezionata ai personaggi di ‘Roma città aperta’, di ‘Amore’, de ‘La rosa tatuata’, ma se non sbaglio credo che il personaggio di ‘ Mamma Roma’ sia il più ‘grosso’ che ho interpretato finora”.
Come in un quadro impressionista, certe opere d’arte per essere apprezzate in pieno vanno osservate con una certa distanza. E la preoccupazione di non riuscire a “stare dentro” il personaggio di un film ha investito anche una grande come Anna Magnani. Un confronto tra titani che si è risolto con uno dei film più struggenti del neorealismo, tornato protagonista in questi giorni nella 72esima edizione del festival la Berlinale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lo sapevate? Dentro la palla dorata del Cupolone di San Pietro potrebbero starci ben 20 persone

Tra la cupola e la grande croce di piazza San Pietro in Vaticano si trova una sfera dorata. Pochi sanno che cosa ci sia dentro quella palla sacra sistemata, tra cielo e terra, sul famoso Cupolone della Basilica. E pochi sanno che prima dentro quella sfera potevano starci addirittura venti persone.
Lo sapevate? Dentro la palla dorata del Cupolone di San Pietro potrebbero starci ben 20 persone.
Tra la cupola e la grande croce di piazza San Pietro in Vaticano si trova una sfera dorata. Pochi sanno che cosa ci sia dentro quella palla sacra sistemata, tra cielo e terra, sul famoso Cupolone della Basilica. E pochi sanno che prima dentro quella sfera potevano starci addirittura venti persone.
Si tratta di una sfera vuota all’interno: è fatta di bronzo ed è rivestita in oro. Da lontano sembra piccolissima, in realtà è molto grande. Sembra incredibile: al suo interno, infatti, possono entrare addirittura 20 persone (12 comode). La sfera all’interno è cava e fino a non molti anni fa era addirittura anche visitabile. Nella copertura di bronzo erano state ricavate delle fessure (quattro, ognuna in corrispondenza di un punto cardinale), e il panorama, da lassù, con ai piedi tutta Roma, era veramente meraviglioso.
Ci si poteva arrivare dalla Loggia del Lanternino con una scaletta di sei metri poi, attraverso uno stretto passaggio, 80 cm appena, si poteva passare nell’interno della palla.
Come recita il testo di “Passeggiate Curiose per Roma”, lo scrittore francese de Lorbac racconta di aver assistito alla salita di un visitatore tedesco molto robusto che rimase incastrato.
Sentite come la descrisse il viaggiatore americano William M.Gillespie, che visità Roma nel 1844.
” … Dovemmo salire ancora un’altra rampa che si svolge attorno alla lanterna e infine ci portammo sulla cima, ai piedi dello stelo che sostiene la sfera e la croce.
Questo stelo è cavo e contiene una scala a pioli, perpendicolare, su cui ci arrampicammo e, attraverso una stretta apertura, entrammo a fatica nella sfera.
Ha un diametro di otto piedi e la guida dice che può contenere sedici persone. Una persona prudente non vorrebbe proprio far parte dei sedici, visto che, con solo due amici oltre a me, la sfera sembrava oscillare avanti e indietro e cedere ad ogni colpo di vento. Istintivamente tememmo che la sottile lastra di rame di cui è fatta, potesse rompersi o che il nostro peso potesse farla vacillare e cadere dalla superba altezza, per poi rimbalzare dalla lanterna sulla cupola del tetto, fino a schiantarsi al suolo col suo prezioso contenuto, a quattrocentotrenta piedi dal punto di distacco. Non rimanemmo lì a lungo…”.
La sfera è costituita da cinquanta lastre di bronzo di differenti dimensioni e laminata in oro (la laminatura in oro fu scoperta nel 2005 dai “sanpietrini”, i custodi della basilica, in occasione del primo, storico “lavaggio”, durante i lavori di manutenzione e lucidatura). Fu sistemata lassù nel 1593, per volontà di papa Clemente VIII, da Giacomo della Porta, a cui era stato affidato il compito di ultimare la cupola progettata da Michelangelo oltre trent’anni prima e rimasta incompiuta dopo la morte del grande maestro. I nomi dell’architetto ticinese e di suo figlio Paolo, incisi in latino, vennero alla luce in occasione di quella prima pulitura.
Il vaticanista Silvio Negro, la descrive così in “Vaticano minore”, opera che nel 1936 gli valse il “Premio Bagutta”: «Chi ci arriva si trova in un’atmosfera calda e inaspettatamente umida, in un ambiente rotondo di due metri di diametro, segnato tutto intorno da fessure che permettono di dare anche di lassù una sbirciatina al panorama». Queste fessure sono in totale quattro e ognuna aperta in corrispondenza di un punto cardinale.
Nel 1845 Gregorio XVI vi offrì addirittura un rinfresco per lo zar di Russia Nicola.
L’ultimo papa a salirci fu Pio IX nel 1847, la sera della vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo (nonché patroni della città di Roma) a quasi un anno esatto dalla sua elezione e incoronazione.
Per motivi di sicurezza, la grande sfera, che regge la croce, non è più visitabile dalla metà degli anni Cinquanta, perché avrebbe creato problemi di instabilità alla cupola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA