Le foto dei lettori. Piccoli capolavori ogliastrini di Luciana P.
canale WhatsApp

Nel cuore della Marmilla, dove il vento sussurra storie di tempi lontani, si erge una villa che sembra uscita da un romanzo gotico: Casa Santa Cruz. Immensa, quasi smisurata rispetto alle altre abitazioni del paese, occupa un intero isolato — un quarto di ettaro di muri, cortili e ricordi che resistono al tempo.
Chi la osserva dall’alto, come fanno gli esploratori urbani di Sardegna Abbandonata, non può non notare la sua imponenza: una fortezza signorile in mezzo a un mare di case modeste. È la fotografia perfetta del divario sociale che un tempo segnava i confini invisibili del paese.
La villa nacque intorno al 1916, data incisa con orgoglio sulla chiave di volta del portale principale. Per mezzo secolo fu dimora di Don Terenzio Santa Cruz Gessa e di Donna Amalia Paderi Santa Cruz, nomi che già da soli evocano nobiltà e antiche storie. Poi, negli anni Sessanta, la casa si spense: finestre chiuse, stanze vuote, silenzio.
Nel 2013, l’ultimo erede, Evangelino Cau, decise di donarla al Comune, dedicandola “alla memoria di Donna Amalia Paderi Santa Cruz”. Un gesto che sembra voler restituire al paese un frammento della sua memoria.
Eppure, anche tra gli intonaci scrostati e le pareti ferite dal tempo, Casa Santa Cruz non ha perso la sua eleganza. I soffitti affrescati, i fregi nascosti, i dettagli delle cornici raccontano di una ricchezza discreta, di feste e conversazioni ormai inghiottite dal silenzio.
Il cognome Santa Cruz, comparso in Sardegna già nel Quattrocento, è un’eredità spagnola che significa “Santa Croce” — un nome che oggi suona quasi profetico, se pensiamo alla sorte di questa dimora: una croce di pietra e memoria, che continua a vegliare sul paese, sospesa tra gloria e abbandono.