La storia dei Guiso-Gallisai, pionieri industriali della Sardegna centrale e “Il Caso Nuoro”

La storia poco conosciuta della nobile famiglia di industriali di Nuoro, i Guiso Gallisai, più volte ricordata in quello splendido affresco di vita sarda e nuorese che è “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta.
A cura di Gianraimondo Farina, per Tottus In Pari
Quando si pensa all’impresa in Sardegna, molto spesso si pensa e si ragiona affermando che nell’Isola non sia possibile intraprendere alcuna attività imprenditoriale a causa dell’indole e della cultura sarda, più propensa, per la sua storia, ad essere permeata da tanto individualismo.
Ebbene, a volte, vi sono delle eccezioni che cozzano contro una tale superficiale lettura. Eccezioni notevoli e di fondamentale rilievo per capire l’evoluzione storico-economica contemporanea dei territori sardi dell’interno.
Una di queste eccezioni, se non la più importante, è rappresentata dalla storia poco conosciuta (se non a livello locale e “tra gli addetti ai lavori”) della nobile famiglia di nobili industriali di Nuoro, i Guiso Gallisai, più volte ricordata in quello splendido affresco di vita sarda e nuorese che e’ “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta.
Ripercorrere, in quest’ambito, dal punto di vista storico-economico le avventure imprenditoriali e d’intrapresa volute don Franceschino Guiso Gallisai e, poi, da suo figlio don Pietrino, significa contribuire a “rendere giustizia” alle vicende di una famiglia di nobili industriali che, per quasi un secolo (dalla seconda metà del XIX° a quella del XX° secolo), si sono battuti, sempre in prima linea, per migliorare le condizioni sociali ed economiche dei propri territori, artefici della trasformazione di Nùoro da borgo rurale a città-fabbrica.
Un contributo incisivo, per meglio conoscere le vicende di questa saga familiare, ci viene offerto dalla lettura dell’ottimo libro di Paolo Fadda, “Il barone delle industrie nuoresi”, pubblicato per la Carlo Delfino editore nel 2014. Si tratta di un’opera di grande respiro, ben strutturata e caratterizzata dal punto di vista storico-economico e sociale, uscita nell’ambito della collana “I grandi dell’imprenditoria in Sardegna”.
Paolo Fadda, già primo presidente dell’Ente Minerario Sardo, imprenditore ed impegnato anche in politica, ci fornisce diversi spunti di analisi per capire meglio quell’ “incredibile miracolo industriale” che hanno vissuto Nùoro e la Sardegna centrale fra il 1860 ed il 1970. E gli spunti su cui riflettere sono tanti e di grande attualità.
In primo luogo, quando parliamo dei Guiso Gallisai, ci riferiamo ad una famiglia di nobile ed antico lignaggio iberico per entrambi i rami, originari, in Sardegna, di Orosei (i Guiso, di cui erano baroni) e di Mamoiada (i Gallisai). Paolo Fadda ha evidenziato che la famiglia Guiso- Gallisai fu una delle pochissime, d’antica aristocrazia, ad aver capito che, a partire dal periodo post-unitario, i tempi stavano cambiando e che l’età dei privilegi acquisiti e dei poteri era tramontata. Per “stare al passo con i tempi” sarebbe occorso “rimboccarsi le maniche per impegnarsi nel lavoro. ecco perché parlare d’impresa in un’isola che, solo da pochi decenni (1837), ultima in Italia, si avrebbe lasciato alle spalle il sistema feudale, assume maggiormente un non so che di miracoloso ed eccezionale.
Ancora, per capire l’ “anomalia” rappresentata da questi nobili industriali nuoresi, occorre precisare che le attività di commercio erano, in quel primo periodo di “decollo” (seconda metà del XIX° secolo), in mano ancora a dei mercanti forestieri, per lo più liguri, che avevano in mano, quasi fosse un’ “esclusiva”, le chiavi dell’import- export isolani.
In terzo luogo, non si può non tenere conto meglio dell’ambiente in cui questi industriali operano. Non certamente la Milano delle fiere campionarie o la Londra dell’ “Exhibition” o la Parigi dell’ “Expo’”, ma la Nuoro della seconda meta’ del XIX secolo: un paesone di neppure 4000 abitanti all’interno di una Sardegna sperduta, “l’isola annegata nel mare”, cosi come definita da Leroy-Ladurie. Si tratta di quel borgo, capitale del banditismo, in cui dominavano la pubblica insicurezza, le angherie e le prevaricazioni e “dove la professione maggiormente praticata fra quelle civili era il notariato”, come aveva gia’ ben osservato Vittorio Angius Casalis sui paesi e sulle città dell’isola. Si tratta di quella Nuoro, definita amaramente da Salvatore Satta nel “Giorno del giudizio” come un ” paese che non ha ragione di esistere e che ignora la storia, dove vivono di fantasmi tanto inutili quanto dannosi per aver commesso il peccato di essere vivi”.
Eppure, in questa citta’, appena divenuta tale nel 1831 per nomina regia, ed in un simile contesto, si verifica un “miracolo laico”. Chi sono, allora, i protagonisti di questa storia? La dinastia dei Guiso Gallisai nasce ufficialmente a meta’ dell’Ottocento con il matrimonio di donna Antonia Gallisai di Nuoro con don Pietro Guiso dei nobili Guiso, gia’ baroni di Orosei. Donna Antonietta Gallisai, andata sposa e rimasta giovane vedova di don Pietro, svolgera’ un ruolo centrale nell’ iniziativa di quest’avventura. Un’avventura che aveva gia’ in dote un immenso patrimonio terriero, sia da una parte che dall’altra. Tanto per fare un esempio, il nonno materno di donna Antonietta era il grande possidente Francesco Serra. Sara’ donna Antonietta a “liberare” i Guiso Gallisai da quella che Paolo Fadda ha definito “la palla al piede delle rendite passive”, intessendo proficui rapporti mercantili con le ditte livornesi e genovesi, divenute loro corrispondenti oltremare. Sara’ questa la conferma della loro iniziatura all’ industria, con l’esercizio dell’attivita’ commerciale inteso come precondizione per la nascita e lo sviluppo dell’industria. Aspetto, questo, che verrà raggiunto e sviluppato da colui che, a buon diritto, può definirsi il capostipite di questa saga familiare, don Franceschino Guiso Gallisai (1859- 1933), unico figlio di donna Antonietta e di don Pietro. Dopo il diploma conseguito al tecnico industriale di Sassari su volontà della madre, sarà lui a rilevare interamente l’impresa di famiglia, sviluppandola e portandola all’apice. Con don Franceschino si può veramente parlare non solo di attività commerciali, d’industria, ma di “industrie nuoresi”, come ben le definisce Paolo Fadda. Per raggiungere un tale scopo, alla sua base culturale tecnico-industriale (caso eccezionale per un nobile, allora) si aggiunsero i continui viaggi d’affari da Orosei (allora unico porto della costa orientale sarda prima dello sviluppo di Terranova/Olbia) a Livorno, Genova e Milano. Occasioni anche di conoscenze, di confronti e di nuovi studi d’impresa da applicare nelle “sperdute lande nuoresi”. Le industrie Guiso Gallisai, quindi, arriveranno a coprire i seguenti settori, partendo da quelli storici:
– il molino per cereali, il famoso Su molinu situato in località Sa concia, acquisito definitivamente nel 1898 per asta giudiziaria dal cugino don Primo Gallisai
– il pastificio di pasta secca, che farà conoscere il marchio Guiso Gallisai in tutta la Sardegna fino agli anni Settanta
– la fabbrica del ghiaccio
– la peschiera di Orosei
Ad essi si aggiungeranno gli impianti idroelettrici del fiume Cedrino, vero “fiore all’occhiello” dell’impresa e volano dell’azienda per il territorio. Tali impianti garantiranno la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica a Nùoro e nel suo territorio. Grazie all’impegno di don Franceschino Guiso Gallisai Nùoro conoscerà la luce elettrica, per la prima volta, il primo Maggio 1915. La “ditta” ne conserverà la privativa per tutto il Nuorese fino al 1962, anno in cui avverrà la nazionalizzazione dell’elettricità e si metteranno definitivamente “nel cassetto” i sogni di don Franceschino e del figlio, don Pietrino, d’irregimentare le irregolari acque del Cedrino costruendo una diga ed aumentando, di conseguenza, la capacità di produzione dell’energia elettrica.
Le altre attività industriali saranno le miniere di talco di Orani (Nu), la fabbrica di ceramiche, la ventilazione del talco in località Biscollai a Nùoro, la produzione di quarzo feldspato, l’azienda agricola in Baronia, i cine-teatri Eliseo e Giardino a Nùoro. Ad esse si aggiungeranno i servizi ausiliari delle officine elettromeccaniche, degli autotrasporti, della carpenteria e della falegnameria.
Don Pietrino Guiso Gallisai (1894- 1970), figlio di don Franceschino, non farà altro che ereditare l’attività del padre, insistendo molto e battendosi per la realizzazione del “sogno di famiglia”: la diga sul Cedrino. Purtroppo questo, a causa dei tempi cambiati, di una certa irriconoscenza politica locale e delle nuove scelte, in campo energetico adottate a Roma ed a Cagliari, non si vedrà realizzato se non nel 1983, quando, ormai, l’azienda elettrica di famiglia era già stata nazionalizzata da quasi vent’anni.
Centrale, in questa lunga storia industriale sarda è il concetto di famiglia, in cui s’incrociano, spesso, capitalismo industriale ed esigenze aziendali ed in cui il gruppo proprietario, la famiglia Guiso Gallisai, rimarrà sempre legato a quella che era l’impostazione originaria: essere dei padroni senza ruoli ben definiti e senza cariche sociali, ma con gerarchie interne riconosciute e codificate dalla prassi della primogenitura. Anche da questo punto di vista si tratta di una storia singolare, in cui storia d’impresa e storia di famiglia sono un tutt’uno unendosi, poi, strettamente con quella di Nùoro.
Ecco perché si può e si deve parlare di un “caso Nùoro” com’é stato un “caso Schio” con i Rossi o un “caso Ivrea” con gli Olivetti, con contesti, però, molto differenti. Il “caso Nùoro”, letto in questo si senso, si pone alla base dell’imprenditorialità industriale in Sardegna. I presupposti sono differenti anche rispetto a Cagliari ed a Sassari (per non parlare del resto della Penisola), dove sono state le classi borghesi a prendere in mano lo sviluppo economico locale. A Nùoro, invece, é stato “l’ancien régime” feudale a diventare capitalistico, assumendo, con la civiltà della fabbrica, il dominio sociale derivante dai privilegi regali. Una fabbrica che avrebbe portato ai nuoresi ed agli abitanti delle zone interne della Sardegna (dalla Baronia, alle Barbagie, al Marghine ed al Gocéano) la modernità: farina, pasta secca, elettricità, talco, ghiaccio, ceramiche e quant’altro. E che, soprattutto, avrebbe dato lavoro a molti ex pastori ed ex contadini, realizzando, in questo modo la trasformazione di quella piccola e povera Nùoro in una fertile ed amena città grazie anche ai suoi figli. E ribaltano, quindi, il “j’accuse” e gli amari ricordi di Salvatore Satta: in quegli stessi anni in cui l’illustre scrittore e giurista ambientava il suo romanzo- capolavoro vi era un’altra Nùoro che avrebbe saputo cogliere i segni del cambiamento proprio grazie all’impegno dei Guiso Gallisai. Un cambiamento ben delineato da questi versi di un poeta locale che descrive una città dove “cantabant muttos pro santu Sidore, sos crios currilaban chin ardore in sa prus bella amena biddizzola“

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Giramondo ma legata a doppio filo all’Isola, un tuffo nella vita di Elugu: «Legame con la Sardegna? Viscerale»

Giramondo per natura, nel suo profilo TikTok conta migliaia di follower che seguono i suoi viaggi, ma non solo: anche le perle della sua Isola, la Sardegna, che ama e che racconta in ogni sua sfaccettatura. Del resto, Eleonora Guiso, sui social Elugu, ha con la sua terra un legame prorompente, fatto di racconto e di assaggio, di tuffo in tradizioni e di amore per tradizioni e usanze.
Giramondo per natura, nel suo profilo TikTok conta migliaia di follower che seguono i suoi viaggi, ma non solo: anche le perle della sua Isola, la Sardegna, che ama e che racconta in ogni sua sfaccettatura. Del resto, Eleonora Guiso, sui social Elugu, ha con la sua terra un legame prorompente, fatto di racconto e di assaggio, di tuffo in tradizioni e di amore per tradizioni e usanze.
«Pensando al legame che ho con la mia terra, è davvero una cosa inspiegabile e quasi viscerale. Una cosa che tutti i sardi hanno. Quando provate a chiedere a un sardo perché sia così legato al a sua isola, in quel a maniera quasi materna, sono sicura che vi risponderà con un sorriso e con un “non lo so, ce l’abbiamo e basta”. È un legame inspiegabile con la casa e la terra che ci ha cresciuti. Lo stesso è per me con il mio lavoro e la mia passione. Sembra assurdo ma sento di averla sempre avuta dentro di me.»
Vent’anni, originaria di Sarroch, è cittadina del mondo pur rimanendo sarda nel cuore. Sempre. Parla con gli anziani, li filma mentre raccontano le loro vite semplici ma così preziose, mentre cucinano i piatti tipici della tradizione… permette a chi nell’Isola non c’è mai stato di conoscerla, assaporarla. E porta avanti con orgoglio quelle che sono le sue radici. Pur amando il mondo, le culture diverse, le lingue e le tradizioni diverse dalle sue.
«Da piccola mi arrampicavo sugli alberi, camminavo scalza per le campagne e avevo, come tutti i bambini, il mio gioco preferito. Leggevo l’atlante geografico con mio padre e immaginavo cosa stessero facendo in quell’esatto istante gli altri bambini del mondo. Alla fine non è cambiato molto da quel periodo a ora. Ho voluto parlare di questo per cercare di dare una spiegazione al perché ho iniziato a fare questo lavoro. Forse l’ho sempre avuta dentro quella voglia di conoscere gli altri.»
Insomma, Elugu ci nasce con questa voglia pazza di conoscere tutto, questa sete di nuovo e di vecchio insieme.
«Quando viene chiesto “perché hai iniziato a raccontare i tuoi viaggi?” forse potrei dare due risposte. Una è la voglia di conoscere gli altri. Come ti dicevo in precedenza, la curiosità è sempre stata una cosa mia. Ho sempre viaggiato con i miei genitori e questo mi ha dato la voglia di sapere di più sul mondo. Raccontarlo agli altri attraverso i social è stata poi una conseguenza. Oltre alla curiosità, un’altra caratteristica che mi ha aiutato ad iniziare questo progetto è l’entusiasmo nel coinvolgere gli altri in ciò che mi piace fare. I miei conoscenti sanno bene che amo fare le cose in compagnia, soprattutto quando qualcosa mi rende felice mi piace rendere partecipi gli altri. Trovare tanti appassionati di tradizioni e viaggi attraverso i social mi sembrava la cosa perfetta per me. Così ho iniziato un po’ per gioco all’età di 16 anni a raccontare i miei viaggi in giro per il mondo e per la Sardegna. Un secondo motivo è che, essendo cresciuta in un paese sardo così piccolo, se non vuoi rimanere con le mani in mano devi crearti qualcosa da fare, altrimenti il tempo non passa mai. Questa è un po’ l’altra faccia della medaglia di vivere in Sardegna. Noi sardi siamo così legati alla nostra terra che nessuno vuole mai andare via, ma le possibilità spesso non sono così tante e sei costretto a farlo, o a inventarti qualcosa. Quando ho iniziato questo progetto, prima su Instagram e poi su TikTok, stavo attraversando un periodo un po’ difficile, avevo bisogno di stimoli e avevo trovato in quella che al tempo era solo una passione, un modo per conoscere persone nuove e evadere dalla monotonia. Vivendo nell’era digitale, ho poi capito sin da subito che quello poteva essere un lavoro.»
Quindi, nel 2020, inizia, si butta.
«Non avevo le idee chiare, ma sapevo di voler lavorare con i video, la scrittura e il digitale. Ho iniziato postando foto di viaggio e leggendo tanto su religioni e antropologia. Il mio lavoro è un esperimento e, tra i mille fatti in quel periodo, 2 sono stati efficaci. Uno era “sabudu sardu”, ogni sabato raccontavo qualcosa sulle tradizioni sarde. Pian piano mi rendevo conto che quello era ciò che mi piaceva fare. Nel 2022 invece ho iniziato un format di video sulla storia sarda che mi ha portato ad avere 50 mila follower in un’estate. Nel mentre, raccontavo i miei viaggi. L’obiettivo era, ed è, fare ciò che facevo in Sardegna anche nel resto del mondo. Oggi osservo, scrivo cosa provo e immortalo i dettagli che mi emozionano di più per raccontare le realtà e i segreti dei territori che secondo me vale la pena conoscere. Creo contenuti, ricerco le cose che non si conoscono. O forse si conoscono talmente bene da non farci nemmeno caso. La quotidianità e la bellezza sono così, sempre sotto gli occhi. Mi piace buttarmi in mezzo alla gente, vivere con gli altri, parlare e fare domande. Credo che solo così si possa documentare appieno la quotidianità. Alla fine, se ci pensi, l’arte nelle piccole cose si trova così: vivendole.»
Nel 2023, al ritorno da un viaggio in Messico – terra a cui è molto legata –, inizia però a prendere il progetto più seriamente.
«In un periodo un po’ particolare della mia vita, mi ha donato gli stimoli giusti e l’ispirazione che mi mancava da tempo. Così, di ritorno dall’America, avevo deciso di iniziare a darmi da fare con quel lavoro che portavo avanti da anni. Volevo renderlo qualcosa di concreto e per farlo volevo iniziare proprio dalla mia terra, ma sempre con un obiettivo futuro: raccontare la quotidianità della gente di tutto il mondo. Quando sono tornata in Sardegna ho iniziato a raccontarne le realtà e le tradizioni attraverso i miei video. Sentivo di voler dare qualcosa alla terra che mi aveva cresciuta, per questo il mio lavoro doveva iniziare proprio da lì. Ho iniziato a raccontare, tra le altre cose, la quotidianità mia e di mio nonno. Una persona che in quel periodo difficile mi ha sempre aiutato e spronato a inseguire i miei obiettivi, che lui ha sempre compreso e appoggiato. La quotidianità per me è una cosa sacra. È sinonimo di tradizione, perché ciò che viviamo nella nostra vita di tutti i giorni, tutti quei piccoli dettagli sono la nostra tradizione. Pensando al legame che ho con la mia terra, è davvero una cosa inspiegabile e quasi viscerale. Una cosa che tutti i sardi hanno. Quando provate a chiedere a un sardo perché sia così legato alla sua isola, in quella maniera quasi materna, sono sicura che vi risponderà con un sorriso e con un “non lo so, ce l’abbiamo e basta”. È un legame inspiegabile con la casa e la terra che ci ha cresciuti. Lo stesso è per me con il mio lavoro e la mia passione. Sembra assurdo ma sento di averla avuta sempre dentro di me. Ed è proprio per questo sentivo di dover iniziare il mio progetto dalla mia isola.»
E chissà quanti progetti futuri. «Lavorando con i social si è sempre in evoluzione e scopri pian piano delle cose che possono permetterti di aggiustare il tiro o di cambiare addirittura strada. Quello che so per certo è che voglio ampliare il lavoro di racconto delle tradizioni che ho fatto in Sardegna al resto del mondo. Può considerarsi un progetto a breve termine perché ho iniziato proprio recentemente con un nuovo viaggio. Sono tornata in Messico, questa volta in uno stato del centro del paese per conoscere la tradizione del giorno dei morti e tantissime altre bellezze che questa terra ha da offrire. Sicuramente questo per me è un esperimento. Ho fatto altri viaggi nel corso di questi anni ma mai avevo deciso di raccontarli con lo stesso format di video che utilizzavo per raccontare la Sardegna. Con tanta costanza e tanti viaggi capirò come migliorare la comunicazione e anche l’aspetto fotografico, che è una del e cose che amo di più fare perché attraverso il video con le inquadrature giuste e i suoni puoi comunicare tantissimo. Ciò che sto facendo adesso è unire questo aspetto a una comunicazione più “giovane” e divertente, senza sminuire ciò che vado a raccontare. In futuro? Oltre quello che ho già raccontato mi piacerebbe fare qualcosa di concreto per far conoscere al e persone da vicino la quotidianità sarda e dei posti che ho sempre raccontato attraverso i video. Vedremo.»

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