Lo sapevate? In Sardegna un bellissimo castello è diventato una biblioteca
Nell’arco del tempo, il castello ha svolto diversi ruoli, tra cui quello di caserma, prigione e sede scolastica, finchè - dopo dei restauri - è diventato un cuore pulsante cultura
La “Casa Forte degli Alagon” è situata nel cuore del paese e rappresenta una combinazione di architettura militare e civile in Sardegna, conosciuta come “Castello Siviller”. Nel 1415, il castello fu eretto su autorizzazione dell’arcivescovo di Cagliari, in sostituzione di una chiesa parrocchiale, che fu distrutta dalle incursioni dei ribelli arborensi. Il castello fu costruito proprio per proteggere il paese dalle incursioni.
La struttura a forma di “U” con merlature guelfe era tipica della costruzione medievale, ma è stata modificata nel corso dei secoli per conferirgli l’aspetto di una residenza emergente nel contesto del centro abitato. Il castello Siviller simboleggia la rinascita della comunità di Villasor.
Sopra il portale di accesso principale della fortezza si erge uno stemma circolare con la corona marchionale. Nella parte sinistra si notano sei palle, simbolo della famiglia Da Silva sovrapposte all’immagine dell’albero sradicato, emblema del Giudicato Arborense. Nella parte destra, invece, campeggia lo stemma del Regno di Aragona e una torre alata che rappresenta la famiglia Alagon.
Nell’arco del tempo, il castello ha svolto diversi ruoli, tra cui quello di caserma, prigione e sede scolastica, finendo poi per essere abbandonato e usato come rimessa agricola.
Solo nel 1991 il castello è stato accorpato al patrimonio comunale e oggetto di molteplici restauri. Adesso, la biblioteca comunale è collocata al piano terra dello stabile, accogliendo spesso mostre ed eventi culturali. Una saletta attigua ospita il Consiglio Comunale.
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Uomo e poliziotto per 49 anni, ora donna e attrice. Carla Baffi: «Ho trovato il coraggio di essere me stessa»
«Mi capita di fermarmi a riflettere, mentre sono per strada fasciata in una bella minigonna, con i tacchi a spillo, orgogliosa del mio seno prorompente: penso che solo sette anni fa per me sarebbe stato impensabile il poter essere libera di passeggiare per strada così, come sono, come mi sento da sempre.» La storia di Carla Baffi, esempio di libertà
C’è chi dice che trovare la felicità sia, tutto sommato, facile. C’è anche chi non la crede raggiungibile – i più cinici, si potrebbe dire. C’è persino chi dice che dura un nanosecondo e nulla più e che è privilegio di pochi. E c’è chi lotta ogni giorno, ogni singolo giorno della propria vita, per poter essere se stesso o se stessa, senza nessuna catena, perché di fatto solo se si è liberi e libere si può essere felici. Felicità e libertà vanno di pari passo, almeno secondo un modo di vedere razionale e umano.
«Per tutta la vita, sin dall’età di sette anni, ho saputo di essere Carla.»
Inizia così il racconto di Carla Baffi, olbiese, che qualche anno fa si è liberata dalle paure di far soffrire gli altri per tutelare la propria identità, per vivere appieno una vita che sentiva sua ma che – per non ferire chi aveva accanto – nascondeva.
Nata Enzo Giagoni, si è sempre sentita una farfalla chiusa dentro il bozzolo perché lei era Carla, da sempre. E per 49 anni, 49 lunghi anni per la precisione, Carla permette a Enzo di vivere la sua vita per proteggere gli altri, per non infliggere loro sofferenza, calpestando la sua vera essenza. Poi esce finalmente allo scoperto. E questa è una soddisfazione unica, una liberazione, una boccata d’aria pura.
«Vivo adesso la mia vita con serenità, con prospettive di vita che finalmente rispecchiano la mia anima. Le persone intorno a me hanno avuto molta attenzione, un modo molto sensibile di affrontare questa novità.»
E sì, perché Carla c’è sempre stata, come abbiamo detto, ma era nascosta, mentre era Enzo ad avere la possibilità di lavorare – in Polizia per tantissimi anni –, di stringere amicizie, di incontrare nuove persone.
«Molti, essendo della mia stessa città, hanno dovuto fare un percorso per accettare questa vita che per me era vecchissima ma per loro nuova. Era difficile, ovviamente, scindere Enzo da Carla» continua. «Alcuni ancora si rivolgono a me con il maschile, ma non lo fanno con cattiveria, è che ci vuole un lavoro di accettazione. Ho comunque riscontrato una grande sensibilità.»
Il suo timore non era il giudizio dalla società, ma dare dolore alle persone a lei care.
«Mia madre mi trovava in abiti femminili, soffriva, e io per non perdere il suo affetto o non causarle tristezza soffocavo me stessa. Per 49 anni mi sono travestita da maschio,» dice, «anche perché la vita di Enzo non c’è mai stata. Carla gli ha concesso la possibilità di esistere, l’ha mandato avanti perché ancora non era pronta a vivere la vita che le spettava. Ma poi si è resa conto che era arrivato il momento di essere libera, di uscire dal bozzolo, di diventare una farfalla.»
Il coraggio di uscire allo scoperto le arriva da una donna di Cagliari, una persona per lei importantissima.
«Come tutte le donne della mia vita, sapeva di Carla. Ho sempre detto alle mie compagne chi ero, erano libere di scegliere se accettare o meno questa cosa. Ecco, Donatella mi disse, un giorno: “Basta, hai rotto le scatole, tu sei Carla da tutta la vita. Finiscila di prenderti in giro, fai questo percorso e sii te stessa.” Questo fece nascere in me la certezza di voler essere fisicamente quel che ero nell’anima: ho rotto quindi quelle catene e sono stata quella che ero, che mi ero sempre sentita. Allo specchio, vedevo una bellissima bambina, poi adolescente e poi adulta ma il mio corpo non mi rispecchiava.»
Adesso, Carla Baffi sta bene, è felice, serena. Organizza degli spettacoli teatrali con la compagnia Barbariciridicoli di Ottana per raccontare la sua storia.
«Dico sempre che la vita mi ha tolto tanto, ma mi ha dato anche tanto: ora so che è bella in ogni caso, vale sempre la pena di viverla, bisogna creare e non distruggere, crearsi e non distruggersi. Mi capita di fermarmi a riflettere, mentre sono per strada fasciata in una bella minigonna, con i tacchi a spillo, orgogliosa del mio seno prorompente: penso che solo sette anni fa per me sarebbe stato impensabile il poter essere libera di passeggiare per strada così, come sono, come mi sento da sempre. Mi capita anche di incontrare qualcuno che mi conosceva come Enzo e che mi dice: “Ciao Carla, mamma mia come ti vedo bene! Si vede che sei serena.” Per me è meraviglioso.»
Ma è un evento di un mese fa a renderla ancor più lieta.
«All’inizio di settembre c’era il compleanno del mio nipotino, figlio di mia figlia. Sono andata a cena con loro per festeggiare, io avevo un bellissimo tailleur, i tacchi alti, un trucco appariscente e ridevo con mia figlia, scherzando del più e del meno. Ecco come ricordo la serata: serena, piena di risate e di normalità.»
Chiude poi con un messaggio importante: «Non vale la pena soffrire, è un’alternativa troppo brutta. Ognuno e ognuna di noi dovrebbe essere se stesso e se stessa, vivere sulla propria pelle la libertà di essere chi vuole senza paura. Ecco, non bisogna mai rinunciare alla propria felicità: l’alternativa è soffrire, non ne vale mai la pena.»
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