Lo sapevate? In Sardegna un bellissimo castello è diventato una biblioteca
Nell’arco del tempo, il castello ha svolto diversi ruoli, tra cui quello di caserma, prigione e sede scolastica, finchè - dopo dei restauri - è diventato un cuore pulsante cultura
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La “Casa Forte degli Alagon” è situata nel cuore del paese e rappresenta una combinazione di architettura militare e civile in Sardegna, conosciuta come “Castello Siviller”. Nel 1415, il castello fu eretto su autorizzazione dell’arcivescovo di Cagliari, in sostituzione di una chiesa parrocchiale, che fu distrutta dalle incursioni dei ribelli arborensi. Il castello fu costruito proprio per proteggere il paese dalle incursioni.
La struttura a forma di “U” con merlature guelfe era tipica della costruzione medievale, ma è stata modificata nel corso dei secoli per conferirgli l’aspetto di una residenza emergente nel contesto del centro abitato. Il castello Siviller simboleggia la rinascita della comunità di Villasor.
Sopra il portale di accesso principale della fortezza si erge uno stemma circolare con la corona marchionale. Nella parte sinistra si notano sei palle, simbolo della famiglia Da Silva sovrapposte all’immagine dell’albero sradicato, emblema del Giudicato Arborense. Nella parte destra, invece, campeggia lo stemma del Regno di Aragona e una torre alata che rappresenta la famiglia Alagon.
Nell’arco del tempo, il castello ha svolto diversi ruoli, tra cui quello di caserma, prigione e sede scolastica, finendo poi per essere abbandonato e usato come rimessa agricola.
Solo nel 1991 il castello è stato accorpato al patrimonio comunale e oggetto di molteplici restauri. Adesso, la biblioteca comunale è collocata al piano terra dello stabile, accogliendo spesso mostre ed eventi culturali. Una saletta attigua ospita il Consiglio Comunale.
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«Ci sono fotografie che si conquistano con anni di pazienza»: Daniele Lorrai, fotografo, ci racconta l’anima silenziosa della natura sarda

«La natura è il mio elemento». Ed è proprio lì, spesso da solo, che trascorre intere giornate in appostamento: anche dieci ore senza scattare una sola foto.
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Nuorese, Daniele Lorrai, 41 anni, ha uno sguardo che sembra sempre rivolto oltre l’orizzonte. Le sue radici affondano in due territori profondamente legati alla natura sarda: il padre è ogliastrino, di Osini, mentre la madre è di Lula. Forse anche da qui nasce il suo legame viscerale con i paesaggi selvaggi dell’isola e con i suoi animali.
Quella per la fotografia naturalistica non è solo un secondo lavoro ma una vera e propria ragione di vita. Una vocazione nata da bambino, quando preferiva i documentari sugli animali ai cartoni animati, e che non lo ha mai abbandonato.
Oggi Daniele è uno dei fotografi naturalisti più attenti e rispettati della Sardegna. Il suo mondo è fatto di silenzio, attesa e osservazione, in perfetta sintonia con il suo carattere riservato. «La natura è il mio elemento». Ed è proprio lì, spesso da solo, che trascorre intere giornate in appostamento: anche dieci ore senza scattare una sola foto. Perché la fotografia di animali selvatici non è questione di velocità, ma di costanza e pazienza.
Lo dimostra una delle sue imprese più celebri: per riuscire a fotografare il gatto selvatico ha impiegato due anni di tentativi, diventando uno dei primi a immortalarlo e a dedicargli un vero servizio fotografico. Un risultato frutto di una dedizione assoluta.
Astori, aquile, grifoni, mufloni, civette, volpi, gabbiani, falchi: sono loro i protagonisti delle sue immagini. E tra tutti, Daniele ha un amore particolare per i rapaci, «perché sono liberi e fieri, e hanno un fascino unico». L’aquila del Bonelli, ad esempio, gli ha richiesto sei anni di lavoro, condivisi con altri fotografi e appassionati ( Antonio Pisanu, Antonello Lande e Marco Lutzu) tra segnalazioni, tentativi e appostamenti interminabili.
Le sue zone del cuore sono alcune delle aree più selvagge e fortunate dell’isola: Baronia, Gennargentu e Ogliastra, territori dove la biodiversità sarda si esprime al massimo.
Nel 2019 ha pubblicato il libro “Wild Mediterranean Island”, edito da Oberon Media, una raccolta di dieci anni di lavoro che rappresenta una vera e propria celebrazione della fauna della Sardegna. Le sue fotografie non si limitano a documentare: raccontano l’essenza degli animali, colta in attimi irripetibili durante appostamenti pazienti e rispettosi.
Daniele è un perfezionista: prima di ogni scatto c’è studio, osservazione e una presenza quotidiana sul campo. Poi, certo, serve anche la fortuna. Ma quando l’incontro avviene, nasce qualcosa di unico. La foto a cui è più legato è la sua prima aquila, scattata nel 2015 dopo un mese di appostamento: un’immagine che per lui rappresenta una svolta.
E mentre continua a inseguire il suo scatto ancora mancante — il ghiro sardo — Daniele non esclude nuovi progetti fotografici per il futuro. Nel suo cassetto c’è un sogno chiaro: riuscire a vivere di fotografia e poter dedicare tutto il suo tempo a questa passione.
È bello sapere che esistono ancora fotografi che si mettono al servizio dell’immagine, aspettando giorni, mesi o anni pur di raccontare la natura con rispetto e verità. Perché certe fotografie non si scattano: si conquistano.

Gatto selvatico sardo (felis lybica sarda) PH Daniele Lorrai

L’aquila reale (aquila chrysaetos) PH Daniele Lorrai

Astore sardo (accipiter gentilis arrigonii PH Daniele Lorrai
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