Via Ponti Rossi perché si chiama così? Andiamo indietro nel tempo fino ai Romani e scopriamolo
Una via lunga e panoramica che come una lunga cintura verde abbraccia due zone di Napoli: l’aria collinare di Capodimonte e quella a valle dell’Arenaccia. Tra macchie di vegetazione che resistono nell’abbandono al cemento e ville ottocentesche, via Ponti Rossi è tutta da scoprire.
Via Ponti Rossi perché si chiama così? Andiamo indietro nel tempo fino ai Romani e scopriamolo.
Una via lunga e panoramica che come una lunga cintura verde abbraccia due zone di Napoli: l’aria collinare di Capodimonte e quella a valle dell’Arenaccia. Tra macchie di vegetazione che resistono nell’abbandono al cemento e ville ottocentesche, via Ponti Rossi è tutta da scoprire.
È una delle strade più lunghe di Napoli con i suoi 2.5 km, via Ponti Rossi si trova nell’omonima area cittadina che va dalla collina di Capodimonte fino a scendere giù a valle nella zona dell’Arenaccia. Una sinuosa arteria che congiunge la parte alta e boscosa della città con la parte bassa e più densamente popolata e cementificata del capoluogo partenopeo. Ma perché si chiama proprio così? Perché la strada ha ospitato un tratto dell’acquedotto di epoca claudia in tufo e laterizi rossi, i cui resti sono tuttora visibili non lontano da piazza Carlo III.
Nel Sud Italia tra gli acquedotti di epoca romana più rilevanti è annoverato certamente quello del Serino. La sorgente è importante poiché alimenta attualmente proprio l’acquedotto del Serino per l’approvvigionamento idrico di Napoli e dintorni. L’opera acquedottistica fu costruita nel I secolo d. C., per volontà dell’imperatore Claudio, sia per assicurare un adeguato apporto idrico alla regione sia per consentire l’approvvigionamento del porto commerciale di Puteoli. In tutto, l’acquedotto copriva una lunghezza di circa centodieci chilometri. La struttura fu costruita quasi interamente sottoterra, molto spesso in gallerie scavate direttamente nel tufo, solo in alcune parti usciva all’aperto proseguendo su arcate. Alcune di queste sono ancora oggi visibili, come quelle appunto dei Ponti Rossi con i suoi archi di tufo rivestiti di mattoni rossi. L’acquedotto fu però totalmente distrutto da Belisario, illustre generale inviato dall’imperatore Giustiniano a metà del 536 d. C. durante la guerra greco-gotica. Per obbligare Napoli alla resa il guerriero bizantino lo distrusse e riuscì ad assediare la città.
Solo nel Cinquecento il viceré spagnolo, Don Pedro de Toledo, decise di far ricostruire l’antica struttura e diede all’architetto Antonio Lettieri l’incarico di rintracciare l’origine del corso d’acqua. Il giovane napoletano scoprì che, ai tempi dei romani, era alimentato dalle sorgenti dell’Acquara nella valle del Sabato. Secondo Lettieri per restaurare l’acquedotto bisognava spendere circa due milioni di ducati. A causa della cifra ritenuta troppo alta, il viceré decise di non iniziare mai i lavori. La zona dei Ponti Rossi, pur perdendo la possibilità di veder rinascere il proprio acquedotto, fu però riqualificata dalla realizzazione, nel 1628, del complesso di Santa Maria dei Monti, monastero tuttora esistente realizzato su disegno di Cosimo Fanzago, e dalla costruzione nel secolo successivo di numerosi insediamenti rurali. A partire dalla metà del Novecento l’area fu però vittima del boom espansionistico che cancellò quasi del tutto la fertile cintura verde che circondava Napoli.
Nel Medioevo, questa zona era chiamata “la vela”, poi prese il nome di “campo dei nostri”, poi di “archi di mattoni” e infine dei Ponti Rossi per il motivo che abbiamo spiegato. Percorrerla a piedi, lungo il primo tratto, quello più panoramico, consente di ammirare la città dall’alto e da un punto di vista insolito, con il Centro Direzionale e il Vesuvio alle sue spalle, il mare e le isole. Ancora ricca di vegetazione e belle ville ottocentesche, conserva tracce dell’antica bellezza e rigoglio, sopraffatta però, in più punti, da un’incuria davvero imperdonabile.
(fonti foto FAI, Catalogo generale beni turistici, wikipedia)
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