Santa Barbara al Pendino, quella scalinata così ricca di storia e popolata da personaggi bizzarri

Ne hanno parlato scrittori, hanno ispirato poeti e registi. Le scale di santa Barbara al Pendino trasudano storia, evocano fatti e vicende della città. Inoltriamoci tra i palazzi grigi e vecchi che vi si affacciano e percorrendole piano scendiamo nei particolari della loro storia antica
Quanta storia si respira passeggiando per il centro antico di Napoli? Ogni angolo o strada porta i segni del suo passato, le mura trasudano storia e voci.
C’è un pezzo di città che tra i tanti è stato il teatro di avvenimenti importanti, particolari. Stiamo parlando della Scala di Santa Barbara al Pendino, una ripida gradinata risalente al Medioevo che collega il quartiere San Giuseppe al quartiere Porto.
Le scale partono da Piazzetta Monticelli, dove si trova lo storico Palazzo Penne – costruito da Antonio Penne, segretario di Ladislao, nel 1406, oggi purtroppo in stato di abbandono – e raggiungono l’odierna Via Sedile di Porto, zona che un tempo conduceva al mare.
La scalinata è stata lo sfondo di una scena emblematica delle Quattro Giornate di Napoli: mentre i nazisti erano impegnati a salire questa scalinata, i ribelli napoletani scagliavano dai balconi sovrastanti oggetti di ogni tipo, letti, mobili, sulle loro teste. Anche il nome di questa scala ha una sua storia: si chiama “Via Pendino” poiché tutte le strade in discesa che anticamente portavano al mare partendo dalla zona collinare erano chiamate “pendini”, proprio in virtù della loro pendenza. “Di Santa Barbara” perché anticamente qui sorgeva una chiesa dedicata alla Santa che proteggeva, secondo le credenze popolari, dai tuoni e dalle saette nonché dalle morti improvvise. Dall’ombra al sole, in un quadro suggestivo la Scale di Santa Barbara hanno ispirato registi, poeti e scrittori.
Tra questi ricordiamo Curzio Malaparte che ha deciso di ambientare proprio qui uno degli episodi del suo romanzo “La Pelle”. Il romanzo inizia con la descrizione indimenticabile delle “nane d’e gradelle ‘e Santa Barbara” che si prostituivano ai soldati americani, personaggi che si contrapponevano alla bellezza dei giovani e trionfatori militari americani.
A raccontare questa scalinata è anche Matilde Serao nel suo romanzo “Il Ventre di Napoli”. “Intatte le strette, nere, soffocate, soffocanti Gradelle di Santa Barbara (..), sono celebri per il loro tarallaro, il biscottaio popolare, ma celebri anche per il vizio diurno e notturno, che vi ha i suoi antri più bassi e più tristi (..). I miei occhi hanno visto, in questa lunga indagine, le donne appoggiate agli angoli di questi angiporti, con le gonne attaccate sullo stomaco, le pianelle coi tacchi alti, le calzette rosse e le guancie cariche di belletto, mentre, nei loro occhi, vi è quella mortale fierezza e quella mortale tristezza che è il segno caratteristico del peccato, del vizio, nelle donne del popolo napoletano”, così le descrive la scrittrice.
Ancora un’altra storia: secondo una leggenda, sul finire dell’Ottocento, queste gradelle erano attraversate da una signora con un grande gonnellone, sotto il quale nascondeva il libro della Smorfia napoletana, utilizzata dai giocatori alla ricerca di ispirazione per la compilazione della propria schedina del gioco del Lotto. Si racconta che la donna saliva e scendeva le scale per raccogliere dai vari “panari” penzolanti dai balconi degli abitanti della zona, le varie “puntate” al gioco. Che bello allora percorrere con lentezza questi gradini, lasciandosi trasportare da queste storie e narrazioni e provando a immaginare ancora quelle nane ferme sull’uscio delle case o la donna dalla gonna ampia.

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