La storia del Risanamento di Napoli: il volto di una città che cambia. Vediamo come
Il Risanamento fu un progetto realizzato dopo l’Unità d’Italia. Napoli andava sventrata, risanata appunto. I quartieri popolari erano nel mirino dei risanatori, focolai di epidemie e malavita. Nacquero quartieri nuovi, la città si divise in due. Luci e ombre di un avvenimento che ha segnato il destino della città
Se qualcosa ha realmente cambiato il volto alla città, questo è stato il Risanamento. Tutto cominciò con la Legge pel Risanamento della città di Napoli, approvata dopo la visita in città del Re la visita in città del Re Umberto I, di Depretis e Mancini, accompagnati dal sindaco Nicola Amore.
A Napoli c’erano state diverse epidemie, le condizioni igienico-sanitarie di certe aree della città erano disastrose. I quartieri bassi, lì dove abitava la gente più povera in situazioni al limite, andavano rasi al suolo.
La legge dava poteri quasi illimitati al Comune di Napoli, che avrebbe dovuto ricopiare ciò che era stato fatto a Parigi e Londra pochi anni prima con la bonifica dell’intera città. Il risultato del Risanamento fu un caos di scandali politico – finanziari che terminò in opere gigantesche, bellissime, ma incomplete.
Fu infatti realizzato solo un quinto di quanto preventivato, spendendo più del triplo di quanto stanziato. L’idea di “sventrare Napoli”, come disse il ministro Agostino Depretis, non era in realtà una novità. Molti progetti furono ripresi dagli archivi dei Borbone che già nel 1828, ritennero essenziale la costruzione di arterie ampie e luminose in città per risanare i quartieri popolari di Napoli. il progetto non fu portato avanti e la ragione o meglio, i religiosi. Come ha spiegato Giancarlo Alisio, massimo esperto del risanamento a Napoli, i progetti borbonici non furono mai attuati per l’opposizione delle centinaia di conventi, monasteri e chiese disseminate in tutto il territorio napoletano.
Era impossibile costruire una strada dritta senza demolire almeno due chiese o radere al suolo qualche chiostro e, per i cattolicissimi Borbone, un’attività del genere era impossibile da realizzare. Se gli imprenditori non videro di buon occhio lo sventramento dei quartieri storici, le banche sabaude capirono che c’era una gallina dalle uova d’oro sulle colline e nella zona ovest di Napoli, dove furono realizzati quartieri elegantissimi, razionali e ben collegati. Nemmeno Santa Lucia e Vasto furono risparmiate dal piccone risanatore, con la Società Geisser e Società Generale Immobiliare che si aggiudicarono gli appalti. Erano tutte imprese con sede a Torino: era cominciato il primo sacco edilizio di Napoli.
Matilde Serao chiamò il Rettifilo “un paravento”, proprio per ridicolizzare una facciata che ha nascosto la città povera. I poveri non se la videro meglio: dopo essere stati sfrattati, furono ammassati nei fondaci rimasti o, i più fortunati, fuggirono nei casali della provincia di Napoli, dando origine alla crescita incontrollata dell’hinterland napoletano.
Furono demolite 63 chiese medievali, ma solo pochi reperti furono inventariati e portati nel museo di Donnaregina. Il Risanamento segnò la separazione tra la città ricca e la città povera creando una cosa che non si era mai vista: per millenni nobili e pezzenti avevano frequentato le stesse strade.
A partire dalla fine del XIX secolo, la borghesia felicemente si trasferì fra Vomero, Corso Umberto e Chiaia, vivacchiando chiusa fra salotti, teatri e case da gioco. E della plebe nessuno più volle sentir parlare.
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