I funerali di Giovanbattista Cutolo: una piazza del Gesù commossa e arrabbiata. Napoli dice no alla violenza

Ieri la città intera si è fermata per il lutto cittadino per la morte assurda di Giovanbattista, il giovane di 24 anni ucciso dalla mano armata di un diciassettenne. Dolore ma anche tanta rabbia, la gente non vuole più aspettare. “Basta con la violenza, ora siamo stanchi”
“Giovanbattista perdonaci, perdona questa città che non ti ha saputo proteggere. Perdona questi fratelli che non hanno imparato ad amare”. Risuonano dolorose le parole dell’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia in una piazza del Gesù accaldata e affollata di donne, uomini, ragazzi e ragazze. “Perdona Giovanni, una città che ha armato i suoi figli più vulnerabili, perché quelle pistole in mano a ragazzi così giovani possano diventare un giorno, quanto prima, degli strumenti musicali.”
Le parole si espandono a fatica, il dolore blocca il respiro e il caldo pure. Sotto un sole cocente, centinaia di persone sono rivolte al maxischermo installato poco distante dalla chiesa del Gesù Nuovo in cui si svolgono, a porte chiuse, i funerali di Giovanbattista Cutolo, il ventiquattrenne musicista ucciso barbaramente la notte del 31 agosto nella centralissima piazza del Municipio da un ragazzo di 17 anni dei Quartieri Spagnoli.
Tutti conoscono i motivi che hanno scatenato la lite, un diverbio sul parcheggio dello scooter finito con i tre colpi di pistola che hanno messo fine alla vita di GioGiò, come affettuosamente era chiamato dagli amici. Mentre intorno la gente con discrezione si asciuga le lacrime e cerca di resistere al calore soffocante di un sole che brucia, l’Arcivescovo continua con parole forti, toccanti, che arrivano dritto al cuore di una città ancora una volta ferita, incredula, dove la rabbia forse prevale al dolore, pur forte, enorme, per una vita così bella e promettente come quella di Giovanni, che suonava come trombettista dell’orchestra Scarlatti, i cui musicisti ieri hanno accolto il feretro giunto nella piazza, intonando l’Inno alla Gioia. Napoli si è fermata, il Sindaco ha proclamato il lutto cittadino, la Chiesa è colma di gente, e la piazza pure.
La madre aveva chiesto una mobilitazione totale, un grido di protesta da parte di tutti e tutte, e ci è riuscita. Sono tante le voci che rimbalzano da un microfono all’altro delle tantissime tv e giornali presenti tra la gente. “Napoli è stanca e arrabbiata, non è tollerabile che un ragazzino spari, che vada in giro con la pistola”; “Dobbiamo alzare la voce, chiedere interventi seri e rapidi perché i giovani vengano sottratti alla violenza”; “Non deve succedere più, morire per un parcheggio, morire per mano di un ragazzo armato, armare un ragazzo di soli 17 anni. Mai più”. Sono solo alcune delle testimonianze che raccolgo tra le gente sotto shock. In chiesa sono presenti il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il governatore De Luca e il Sindaco Manfredi, diversi esponenti delle istituzioni, come Antonio Bassolino, Sergio Costa e della cultura come Maurizio De Giovanni.
“Perdonaci tutti Giogiò – ancora le parole forti di Don Battaglia – perché quella mano l’abbiamo armata anche noi, con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – che camminano armati, come in una città in guerra». Eppure, da questa città in guerra, l’arcivescovo invita a non fuggire, a non scappare, per non impoverire un territorio che ha disperato bisogno di energie sane, di vite appassionate, come era quella di Giovanbattista. Le esequie terminano, si aprono i grandi portoni della chiesa, esce lentamente la bara bianca, la piazza applaude e piange, si sente gridare “Giovanni vive!”.
Sì, Giovanbattista vive, si spera per sempre nel ricordo e nell’azione di contrasto quotidiano al degrado, che ognuno di noi deve portare avanti.

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