Chiusa da decenni, la Chiesa di S. Maria della Sapienza ha una facciata elegante e una storia travagliata
Uno degli edifici più imponenti della via su cui affaccia, desta curiosità per la bellezza che trasuda da ogni angolo della maestosa facciata. Una chiesa chiusa da tanti decenni e sottratta alla fruizione del pubblico, che conserva tesori al suo interno e attende un intervento di restauro che la salvi dal degrado
È una delle chiese più monumentali della città, ubicata nel cuore del centro antico, a due passi da Piazza Bellini e precisamente in via Santa Maria di Costantinopoli: è la chiesa di Santa Maria della Sapienza. Un edificio dalla facciata spettacolare, che tutti, napoletani e turisti, conoscono bene, data la sua posizione centrale di cui però si ignorano gli interni, purtroppo.
La chiesa è chiusa da molti decenni e all’interno mostra notevoli segni di degrado e incuria, oggetto inoltre di atti di vandalismo e furti. Costruita nella prima metà del Seicento, vide l’intervento di numerosi architetti, tra cui Cosimo Fanzago e Dionisio Lazzari che si occuparono della elegantissima facciata, rispettivamente per il progetto dell’esterno e per gli abbellimenti in marmo bianco.
Furono poi costruiti la cupola, con la creazione di un lanternino affrescato da Belisario Corenzio e il campanile: in origine, alla chiesa era annesso un monastero con chiostri, poi demolito alla fine dell’Ottocento per costruire il vicino Policlinico universitario. Un secolo prima della sua costruzione, il Cardinale Oliviero Carafa, appartenente a una famiglia ricca e potente per i legami con Roma e per la sua influenza politica, aveva cominciato a restaurare un edificio da utilizzare come ricovero per gli studenti poveri a cui venivano insegnate le scienze e la dottrina cristiana. La morte del religioso, però, fermò i lavori di costruzione di questa casa, già denominata “la Sapienza”.
La struttura fu ceduta a due fratelli che decisero di costruirvi un monastero di clausura per Clarisse chiamato S. Maria della Sapienza: la graduale espansione fu possibile grazie alle cospicue donazioni di ricche suore che frequentavano il luogo. Durante la guerra franco-spagnola, si verificarono continui spostamenti di frati e monache da un convento all’altro: qui giunse suor Maria Carafa, domenicana, che insieme al fratello si adoperò perché il monastero fosse dato ai Domenicani. A questo passaggio fanno riferimento i due grandi tondi del prospetto della chiesa, ove, a mezzo busto ed a rilievo ricoperto di stucco, sono effigiati, in quello di destra, suor Maria Carafa nell’atto di mostrare il modellino della nuova fondazione ecclesiastica, ed in quello di sinistra, il papa Paolo IV (suo fratello) benedicente. L’interno, a navata unica con cappelle laterali, è decorato con marmi policromi di Dionisio Lazzari, che si occupò anche del pavimento in marmo bianco e pietra lavagna di Genova e del coro delle monache. Gli affreschi nella volta e nell’abside sono di Cesare Fracanzano, mentre, sul timpano del fondale settecentesco, vi sono due angeli di Paolo Benaglia. Le tele contenute sono state tutte trasferite in altre sedi; quelle rubate sono state ritrovate dal nucleo a tutela del patrimonio artistico dei Carabinieri. La struttura della chiesa contiene, inoltre, un altro tempio: la Cappella della Scala Santa, utilizzata in passato solo per le penitenze dei religiosi e unico esempio napoletano di questo tipo di costruzione. Il nome deriva dalla scala che Gesù, sanguinante dopo la flagellazione, percorse per arrivare fino a Pilato.
La chiesa che versa in un cattivo stato di manutenzione a causa di infiltrazioni d’acqua, furti e atti vandalici, venne aperta eccezionalmente nel 2005, in occasione del “Maggio dei monumenti”: nell’ultimo decennio alcuni interventi prioritari di restauro sono stati effettuati dalla Soprintendenza di Napoli ma si attende vivamente la messa in atto di un piano straordinario perché questo gioiello venga restituito alla fruizione di tutti e tutte.
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