Monumenti napoletani: chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, dalle suore ribelli agli abusi sulla facciata. Un luogo dalla storia unica

Nel cuore di Forcella, sorge la chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, da anni chiusa al culto, come da anni vive lo scempio di un abuso edilizio tra i più clamorosi della città. La chiesa ha una storia interessantissima, scopriamola insieme.
Monumenti napoletani: chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, dalle suore ribelli agli abusi sulla facciata. Un luogo dalla storia unica.
Nel cuore di Forcella, sorge la chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, da anni chiusa al culto, come da anni vive lo scempio di un abuso edilizio tra i più clamorosi della città. La chiesa ha una storia interessantissima, scopriamola insieme.
Forcella, quartiere tra i più noti e poveri della città, al centro di tanta cronaca nera, tra fermenti di rinascita e difficoltà annose, complicate da risolvere. Gli abusi edilizi, in questo come in tutti gli altri quartieri di Napoli, sono cosa frequente e diffusa. L’abuso di cui raccontiamo ora ha però una sua peculiarità e gravità diremmo, poiché fatto ai danni di una chiesa, cosa peraltro anch’essa non rara in città. Ma di che chiesa si tratta? È quella di Sant’Arcangelo a Baiano, edificio fondato nel VI secolo dai Basiliani e che sorgeva sui resti di un tempio pagano, nei pressi di un fiume dove venivano celebrati antichi rituali. Nel 593, l’abate Teodosio dedicò nuovamente la struttura a San Michele Arcangelo aggiungendo “a Baiano” alla sua denominazione per la presenza, secondo il Pontano, della nobile famiglia Baiani del Seggio di Montagna. Nel XIII secolo il tempio fu rifatto su commissione da re Carlo I d’Angiò come premio per celebrare la vittoria contro gli Svevi, ottenuta il 23 agosto1268 nella battaglia di Tagliacozzo, con la morte di Corradino a seguito della quale Napoli diventa capitale e Carlo ne diventa il re. Nel convento viene anche educata Maria d’Aquino, figlia di re Roberto d’Angiò, la celebre Fiammetta amata dal Boccaccio e descritta ne “Il Filocolo”.
Le fanciulle nobili di Napoli venivano rinchiuse in questo convento, usanza che si intensificò soprattutto nel corso del ‘500 con l’arrivo di Don Pedro di Toledo quando le famiglie aristocratiche, per salvaguardare i loro patrimoni, ricorsero spesso alla monacazione forzata delle proprie figlie. Si trattava di ragazze che prendevano i voti non per vocazione, ma perché erano obbligate a farlo, ragion per cui con l’oscurità della notte nel convento accadevano fatti poco “leciti” e di grave entità al punto che nel 1577, dopo il tentativo infruttuoso da parte del Papa di riordinare la situazione, il padre spirituale sant’Andrea da Avellino, dietro stretto consiglio dell’arcivescovo, diede per la prima volta in assoluto l’ordine di chiudere definitivamente il monastero per “fatti di libidine, sangue e sacrilegio”.
Alcune monache furono addirittura costrette a bere la cicuta e si commissionarono dei pittori per ritrarre ciò che accadeva all’interno del convento. Nel 1645, i religiosi Padri della Mercede tornarono in possesso della struttura e ricostruirono sia il convento che la chiesa, ma anche loro furono allontanati nel corso del decennio francese. Così, il monastero fu completamente abbandonato, e la chiesa venne chiusa al culto.
Questa la storia del convento, come si vede accidentata e particolare, così come accidentata e peculiare continua e esserlo nel presente dei nostri giorni. È balzata agli onori della cronaca la storia incredibile, ormai vecchia di qualche anno, degli abusi edilizi realizzati sulla facciata della chiesa. Gli appartamenti dei palazzi circostanti si sono ‘allargati’ fino a coprire per intero l’edificio di culto. Una situazione scandalosa che si è protratta nel tempo nel più completo disinteresse della Curia, che continua a ignorare questa clamorosa illegalità, e di chi avrebbe dovuto intervenire per impedire questo scempio e ripristinare lo stato dei luoghi, restituendo dignità a una chiesa di origini antichissime.

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