All’Olimpico è una sfida dai ritmi altissimi: un Cagliari tenace cerca di resistere alla Lazio, ma tra errori clamorosi, rimonte e cartellini rossi, la partita prende una piega drammatica per i sardi. Dopo un vantaggio lampo dei biancocelesti e un pari sudato del Cagliari, tutto cambia nella ripresa, quando un rigore di Zaccagni e due espulsioni in pochi minuti lasciano i rossoblù in otto, compromettendo ogni speranza di rimonta. La Lazio incassa i due punti, mentre la squadra di Nicola esce a testa alta, ma con un po’ di rammarico dall’Olimpico.

Partita subito accesa all’Olimpico tra Lazio e Cagliari, con un primo tempo che non ha risparmiato emozioni. Dopo appena due minuti, un clamoroso errore di Scuffet spalanca le porte a Dia, che porta la Lazio in vantaggio sfruttando l’occasione e mettendo subito pressione agli avversari.

Il Cagliari però non si lascia scoraggiare e continua a cercare spazi, fino a trovare il meritato pareggio sul finale di frazione. È Luvumbo, infatti, a sorprendere la difesa laziale con una conclusione insidiosa che, deviata da Gila, diventa imprendibile per Provedel. Con questo gol, le squadre vanno all’intervallo sull’1-1, in una sfida che resta apertissima.

Secondo tempo da dimenticare per il Cagliari all’Olimpico, in una gara che ha visto la squadra di Nicola cedere progressivamente il controllo alla Lazio. La svolta arriva con un rigore trasformato da Zaccagni, che porta i biancocelesti in vantaggio e apre una fase di grande confusione per i rossoblù.

Nel giro di pochi minuti, infatti, il Cagliari perde lucidità e paga caro – seppur con dubbi- il nervosismo in campo: Mina e Adopo, già ammoniti, incassano entrambi il secondo giallo e vengono espulsi, lasciando la squadra sarda in soli nove uomini a dieci minuti dalla fine.

Con un Cagliari ridotto in inferiorità numerica e una Lazio in vantaggio di due uomini, le speranze di ribaltare il risultato svaniscono al triplice fischio dopo cinque minuti di recupero, dove il Cagliari ha dato il tutto per tutto per difendere la porta.

Valerio Saba aveva 28 anni. Era un ragazzo timido, di quelli che si coprono la bocca quando sorridono, come se anche la gioia dovesse chiedere permesso. Viveva a Guspini, nel sud della Sardegna, e si svegliava all’alba per lavorare nei mercati. Una vita semplice, silenziosa, spezzata da una delle accuse più infamanti che possano colpire un essere umano.

La sua storia, raccontata da Roberto Saviano, inizia nei primi giorni di gennaio 2023. Un giorno qualunque, finché il telefono di Valerio comincia a vibrare senza sosta: notifiche, messaggi, insulti. Accuse. Valerio non capisce cosa stia succedendo. In poche ore diventa il bersaglio di un “call-out”, una denuncia pubblica senza prove e senza processo. La chiamano giustizia rapida. In realtà è squadrismo digitale.

Tutto nasce da un post sui social. Un uomo scrive che qualcuno avrebbe tentato di adescare suo figlio, un bambino di sette anni. Racconta di essere andato dai carabinieri, senza trovare nessuno in caserma. Decide allora di affidarsi ai social. Da lì parte la caccia.

Viene descritta un’auto. Poi viene indicata. Poi fotografata. Infine viene pubblicata la targa. Un altro padre interviene: «Si è denudato davanti a mio figlio». Poco dopo un altro ancora: «Anche davanti a mia figlia, una bambina di 11 anni». Le accuse si moltiplicano, si rafforzano a vicenda, diventano “verità” solo perché ripetute.

Le voci arrivano fino alla sorella di Valerio. Poi a sua madre, che lo chiama e gli chiede: «Bambino, ricordami il numero della targa». In quell’istante Valerio capisce che il veleno è entrato in casa. È tutto falso. In quei giorni lui non era nemmeno in paese. Il GPS dell’auto lo dimostra. Ma la verità non corre veloce quanto l’odio.

Valerio non ha strumenti per difendersi. Contro l’accusa più atroce — fare del male ai bambini — non esiste una difesa pubblica efficace. Il marchio resta, anche quando è falso. E vivere così diventa insopportabile. Valerio è innocente. E si impicca.

Prima scrive a sua madre: «Ciao mamma, scusami per tutto e per le poche parole, ma ti voglio un mondo di bene, sei la migliore». Poi invia un ultimo messaggio: il PIN del bancomat. Per lasciarle i pochi soldi che aveva risparmiato. La Procura apre un’indagine su alcuni protagonisti della gogna mediatica. Ma Valerio non tornerà. La gogna non è giustizia. È violenza che si traveste da moralità. Non cerca la verità. Cerca vittime.