Una metodologia di allevamento più sostenibile e innovativa che possa portare allo sviluppo di un prodotto ittico di qualità, il più simile possibile al prodotto selvatico: è questo il progetto che Aqua De Ma, azienda leader nel settore dell’allevamento di orate e spigole in mare aperto, sta portando avanti nelle acque del Golfo di Orosei.

Dopo il successo ottenuto dal primo impianto ittico, situato a Lavagna, in Liguria, che da vent’anni ormai offre al mercato orate e spigole di qualità eccellente, Aqua De Ma ha investito sulle coste oglistrine per sviluppare un nuovo impianto e migliorare l’itticoltura locale. 

Questa tecnica di allevamento è più complessa rispetto alla tradizionale, in quanto prevede il posizionamento di un sito produttivo, distante 1 miglio dalla costa, su batimetriche profonde che comportano un’esposizione maggiore delle vasche – all’interno delle quali avviene l’allevamento – a onde, correnti e mareggiate.

Allo stesso tempo però l’allevamento in mare aperto attuato da Aqua De Ma porta con sé dei grandi benefici: i pesci crescono così più sani, magri e tonici, con una qualità migliore delle carni, e questo avviene anche grazie al frequente ricambio dell’acqua all’interno delle vasche. Un altro aspetto ammirevole è dato dalla certificazione “Antbiotic Free” che Aqua De Ma già possiede per il suo stabilimento ligure e che tra poco tempo otterrà anche per quello sardo.

L’attività è partita circa 2 anni, oggi l’allevamento sardo è pienamente produttivo e affianca quello ligure nella fornitura al mercato del Nord Italia di orate e spigole allevate in mare aperto. Il successo di un allevamento ittico di questo tipo dimostra l’enorme potenzialità delle acque della nostra Isola, come ci spiega il Presidente di Aqua De Ma Davide Orsi:  “Abbiamo scelto la Sardegna ben conoscendo la qualità del suo mare. Per questo, non abbiamo avuto dubbi nel cogliere l’opportunità che si è creata e l’importanza dell’investimento che abbiamo effettuato dimostra quanto crediamo nelle potenzialità di sviluppo di questo mare e di questi territori. Già oggi l’allevamento nel Golfo di Orosei ci ha consentito di aumentare in modo significativo la nostra offerta al mercato di orate e spigole allevate in mare aperto, e cioè in modo più sostenibile e con una qualità eccellente. Siamo sicuri che l’allevamento sardo crescerà ancora, creando nuove opportunità di lavoro e dando ancora maggiore visibilità ai territori che stanno lavorando con noi per il successo di questa sfida”. 

A tal proposito interviene anche Francesco Paolo Mula, Consigliere Regionale: “Siamo ben felici di leggere la parola ‘Orosei’ nel marchio Aqua De Mâ. Grazie alle attività di comunicazione dell’azienda, anche il brand Orosei raggiunge tutto il mondo: la città non è rinomata solo per il turismo ma anche per la qualità del mare legata al mondo dell’itticoltura”. 

Donne sarde, donne di carattere. Lo si dice spesso e a volte la storia interviene a corroborare questa tesi. Un primato in rosa molto particolare spetta infatti a una donna sarda, Grazia Pinna, cagliaritana residente in Toscana. Nel febbraio del 1979 passò alla storia per essere stata la prima donna arbitro d’Italia.

Come racconta un articolo de L’Unione Sarda del 14 febbraio 1979, Grazia Pinna, precedentemente commessa della Rinascente di Cagliari, dal «corpo minuto e gli occhi intensi», si era trasferita dal 1962 in Toscana per seguire il marito, un pasticciere, poi scomparso prematuramente. Allora 35enne, vedova e madre con due figli, fu scelta ufficialmente dall’Uisp per arbitrare partite di calcio.

Un primato conteso però da altre donne, tutte sarde o con legami con la Sardegna. Quando infatti uscì la notizia di Grazia Pinna, una 32enne di Guspini cresciuta a Terralba ed emigrata a Roma, Agnese Carta, raccontò di aver arbitrato da più tempo per conto della Fia. Come lei altre due donne, Placida Marrosu, anche lei sarda, e Paola Oddi, romana, ma sposata con un uomo di Bitti. Tutte in realtà arbitravano match da diversi anni. L’eccezionalità di Grazia Pinna fu proprio il riconoscimento da parte dell’Uisp, allora ancora negato dalla Figc, autorità competente per le altre tre donne.

Di chiunque sia stato il primato, una cosa è certa: per “mettere la gonnella” a un arbitro ci voleva per forza di cose una sarda.