A tu per tu con il “super laureato” Samuele Cannas. Il ragazzo dietro i libri: la passione per cucina e scampagnate
Intervista al giovane talentuoso Samuele Cannas, 6 lauree a 26 anni e orgoglio di Sardegna. "Alle superiori? C'è stata una materia mio tallone d'achille". Il ragazzo dietro i libri, fra passioni per la cucina e le scampagnate nell'Isola. Nel suo cuore sogni di carriera, ma anche desideri di famiglia. "Credo che sposarsi e avere dei figli sia una delle gioie più grandi della vita".
Le sue sei lauree, a soli 25 anni, ci hanno stupito, i suoi progetti hanno inorgoglito un’intera Isola. Samuele Cannas è il “super laureato” cagliaritano – magistrale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e corona d’alloro in Medicina e Chirurgia, Biotecnologie, Ingegneria Biomedica, e pianoforte – che l’intera Sardegna ha accolto trionfalmente giorni fa. Con lui, i suoi progetti: diventare chirurgo e, attraverso la robotica applicata e le biotecnologie, poter curare i tumori al pancreas e al fegato.
Tutto, neanche a dirlo, conseguito con la lode e voto massimo a ogni esame. Un genio, insomma, agli occhi di tanti. Un invincibile, nel mondo dello studio e della didattica. No, Samuele è semplicemente un ragazzo dalle mille passioni e talenti, e pure qualche debolezza. Anche sui banchi di scuola, da dove oltre dieci anni fa, al liceo scientifico cagliaritano “Pacinotti”, ha intrapreso questo percorso di successi. Tutto dieci e lode? “Non proprio. Il mio tallone d’achille è sempre stata l’educazione fisica, anche se in generale considero molto bello il sapere – spiega Cannas, sorridente mentre ricorda i suoi trascorsi pre universitari – Tuttavia, per l’attività ginnica, che considero importante, si andava un po’ peggio”. Insomma, studio sempre gradito a Samuele, in qualunque disciplina, però guai a parlare di parallele e quadro svedese.
Cinque anni di Liceo e dieci di Conservatorio “Palestrina” di Cagliari per Samuele Cannas. Una passione per la musica, ascoltata e suonata, che lo accompagna sin dall’adolescenza. “Mi piace questo mondo così complesso e affascinante. La mia passione? Quella per la musica classica, che amo ascoltare anche mentre studio o voglio rilassarmi”. Schumann e Chopin anche nelle più semplici delle quotidianità. Samuele, inguaribile romantico, non ha dubbi: nelle loro note ha trovato il giusto aiuto per produrre al massimo sui libri.
Eppure, nella vita del giovane e brillante Cannas non ci sono solo manuali universitari e complessi compendi di medicina. Samuele, pur tenendo a mente il suo obiettivo, non ha mai rinunciato a niente. “Io secchione? No, ho sempre saputo ritagliare del tempo anche per me. Ciò che mi dà fastidio è la tendenza di qualcuno a prendere in giro chi studia. Ma io vado avanti lo stesso”. Nel suo cuore infatti i sogni sono tanti e la sua mente è una fucina di passioni. Di quelle comuni a tanti di noi. “Mi piacciono i viaggi per le città d’arte, come Parigi e Roma, per la quale ho un debole. E poi le scampagnate in montagna, magari in cerca di funghi e asparagi. In Sardegna? Certo, nel Gennargentu, Siurgus Donigala e Sette Fratelli, per citare alcuni posti”.
Insomma, svaghi e interessi di un 25enne, dietro i libri e pure davanti ai fornelli. Già, perché lo studio è importante, ma anche lo stomaco vuole la sua parte. E se è vero che “mens sana in corpore sano”, ecco che Samuele dalla nonna ha ereditato l’abilità ai fornelli. “Mi riescono molto bene i primi e i secondi piatti, di carne e di pesce”.
Una vita da studente, sempre col fidato supporto di amici e parenti, più che mai orgogliosi del loro Samuele. “Coi miei genitori e mia sorella c’è un rapporto bellissimo. Loro sono i miei eroi, mi hanno trasmesso dei valori fondamentali per affrontare questo percorso. I miei amici, poi, loro sono stati una forza e con qualcuno c’è un legame splendido. Uno su tutti, Giulio Da Angeli, una sorta di fratello adottivo”.
Tutto nato in divenire per Samuele. Percorsi accademici paralleli nati sin dal primo anno universitario in Medicina, con la volontà di acquisire competenze trasversali multidisciplinari e quasi “per gioco” la decisione di dare esami extracurricolari. Poi, un esame tira l’altro, verrebbe da dire, e il circolo è diventato virtuoso. Ed ecco arrivare i titoli. “La laurea per me è sempre stata un mezzo, non un fine. – spiega Cannas – L’obiettivo rimane sempre quello di padroneggiare le competenze che permettano di diventare un eccellente chirurgo”.
Passione e sacrificio, sì. Ma sempre col sorriso e con la consapevolezza di coltivare l’interesse di una vita. “Tutto è stato formidabile. Ripeterei da zero qualsiasi cosa. Ciò che mi è dispiaciuto è stato non poter condividere questa gioia con alcuni miei nonni, venuti a mancare proprio durante i miei studi. Forse è questo il mio rimpianto più grande. Dal mio esempio il consiglio che do agli altri? Non tanto le 6 lauree, ma sempre un approccio alla scienza in maniera multidisciplinare e trasversale”.
E dalle sue parole, sempre pronunciate col sorriso, ecco che emerge un pensiero, valido per tutti i giovani, al di là del percorso di studi e di carriera che si vuole intraprendere. “Vivere la nostra vita, che dura comunque poco, facendo sempre qualcosa di concreto, lasciando ai posteri qualcosa di significativo. Ma non solo. Vivere appieno comprende sia l’aspetto serio, del lavoro, del matrimonio e dello studio, sia quello ludico, di qualsiasi tipo. Ed entrambi sono indispensabili per ognuno di noi. Come mi vedo a cinquant’anni? Spero all’apice della mia attività di chirurgo e ricercatore, super indaffarato. Ed è qualcosa che farei al di là dell’aspetto economico”.
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Accadde oggi: 4 maggio 1949, la tragedia di Superga. Tra le vittime anche l’ex allenatore del Cagliari Ernő Erbstein
Quella di Ernő Egri Erbstein, leggendario tecnico ebreo ungherese direttore tecnico del Grande Torino, è una storia incredibile: scampato più volte allo sterminio nazista, trovò la morte nel 1949 nella tragedia di Superga. Chiamato alla guida del Cagliari fra il 1930 e il 1932 portò per la prima volta i rossoblù in Serie B. Si può senz'altro dire che fu uno dei primi a far conoscere alla Sardegna il calcio moderno.
Il 4 maggio di 73 anni fa si verificò la tragedia aerea di Superga, la sciagura sportiva più triste che l’Italia abbia mai conosciuto. Morirono 31 persone, tutti i fenomeni del Grande Torino e lo staff. Tra questi c’era anche un volto noto del Cagliari, Ernő Egri Erbstein, di cui vi vogliamo raccontare la storia.
C’è infatti un po’ di rossoblù nella parabola tragica e grandiosa di uno dei più grandi maestri di calcio in Italia del primo ‘900. Ernő Egri Erbstein, calciatore e allenatore ungherese nato nel 1898 in una famiglia ebraica della Transilvania, prima di diventare uno dei fautori del “Grande Torino”, allenò anche il Cagliari.
Si può quasi dire che fu proprio Erbstein a portare il calcio moderno in Sardegna. Nel 1930, dieci anni dopo la nascita della società rossoblù, il tecnico magiaro, reduce dalle sue prime esperienze in panchina agli ordini della Fidelis Andria, del Bari e della Nocerina, fu chiamato a guidare i sardi nel campionato di Divisione Meridionale.
Il connubio tra Erbstein e il Cagliari fu un successo. I rossoblù vinsero il girone F del torneo di Prima Divisione e il successivo girone finale del Mezzogiorno, riuscendo ad accedere per la prima volta al campionato di Serie B. Anche qui gli uomini agli ordini dell’allenatore ungherese centrarono un ottimo piazzamento, un tredicesimo posto che valse la salvezza.
Purtroppo nella stagione successiva furono i problemi economici del Cagliari a separare i destini di Erbstein da quelli della Sardegna: l’artefice della prima promozione in Serie B tornò in Puglia, al Bari, mentre il club rossoblù fu dichiarato fallito e costretto a un lunghissimo purgatorio.
Lontano dalla Sardegna la carriera e la vita di Erbstein attraversano fino in fondo tutti i principali avvenimenti degli anni ’30. Fra il 1933 e il 1938 “Ernesto” – molti lo chiamavano così italianizzando il suo nome – fu protagonista di una splendida pagina di calcio alla guida della Lucchese, piccola squadra di provincia trascinata fino alla Serie A a suo di bel calcio e tanto coraggio. La squadra toscana, agli ordini di Erbstein, raggiunse un miracoloso settimo posto nella stagione 1936-1937 e un quattordicesimo piazzamento (e salvezza) nel campionato successivo.
Ma come abbiamo già accennato la parabola del mago ungherese del calcio si scontrò duramente contro i crudeli quanto beffardi risvolti della storia. La promulgazione delle leggi razziali del 1938 lo coinvolse direttamente e lo costrinse a salutare la sua amata Lucca, dove le sue bimbe non furono più accettate a scuola in quanto ebree. Erbstein si accasò a Torino, dove l’ambiziosa dirigenza gli offrì la panchina e la possibilità per le figlie di frequentare una scuola privata. Il suo inizio sulla panchina dei granata fu scoppiettante, ma venne interrotto bruscamente. Nel gennaio del ’39, fu costretto a lasciare l’Italia per via delle sue radici ebraiche.
Dopo varie peripezie trascorse tra Germania e Ungheria, il presidente del Torino Ferruccio Novo riuscì a farlo rientrare in Italia trovandogli un impiego in fabbrica e chiedendogli in cambio qualche consiglio tecnico-tattico sulla gestione della squadra. Fu Erbstein a suggerire l’acquisto di “un certo” Valentino Mazzola, futura leggenda granata e suo capitano. Erbstein in quel periodo faceva la spola tra l’Italia e l’Ungheria. A Budapest, nel 1944, fu arrestato dai nazisti durante l’assedio della città e venne deportato in un campo di lavoro da cui riuscì poi a scappare. Nel secondo e ultimo assedio della capitale ungherese il tecnico riuscì a mettersi in salvo grazie all’eroico progetto di Raoul Wallenberg, voluto dal presidente americano Roosevelt per salvare gli oltre 800mila ebrei ungheresi. L’ultimo grande aiuto per salvarsi Erbstein lo ricevette ancora una volta dal presidente Novo che lo tenne nascosto fino alla fine della guerra.
Poi, sempre il dirigente granata, lo volle alla guida dei suoi campioni in qualità di direttore tecnico: il connubio produsse una delle squadre più forti della storia del calcio italiano, il “Grande Torino”, che annoverava giocatori del calibro di Valentino Mazzola, Ezio Loik e Franco Ossola.
Le incredibili vicende umane e sportive di Ernő Egri Erbstein culminarono con la più grande tragedia che il calcio e lo sport italiano abbiano mai conosciuto: il 4 maggio del 1949, l’aereo sul quale viaggiava il Torino, si schiantò sulla collina di Superga. Erbstein, sopravvissuto all’olocausto e reduce da una vita tanto ricca quanto tormentata, morì insieme agli altri 30 passeggeri del Fiat G.212 della compagnia aerea ALI.
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