Marina Piccola, teli in spiaggia e cagliaritani sotto il sole di Pasquetta

Pasquetta 2022, clima primaverile e tanto sole. E allora ecco i cagliaritani scegliere Marina Piccola per il pomeriggio del dopo-Pasqua.
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Quando in sardo campidanese pronunciamo la parola “cavúru” a cosa ci riferiamo?
Attenti al granchio: quando la lingua sarda fece inciampare i piemontesi in un errore da cartolina.
Ci sono parole che, a seconda della latitudine, cambiano completamente significato, creando malintesi degni di una commedia degli equivoci. In Sardegna, una di queste è cavúru, un termine che ha generato non solo confusione ma anche un errore storico sulle mappe, lasciando un segno indelebile nel paesaggio isolano. Andiamo a scoprire questa storia che vede protagonisti un crostaceo e i geografi venuti da nord.
Quando in sardo campidanese pronunciamo la parola “cavúru” a cosa ci riferiamo? La risposta è molto più marinaresca di quanto si possa pensare. La parola cavúru in sardo campidanese indica qualcosa di molto preciso, non un’entità astratta o chissà cosa. Se un sardo vi chiede di stare attenti al cavúru, non vi sta parlando di un ortaggio, ma di un animale con le chele.
La parola cavúru significa infatti granchio, proprio il tipico animale marino che in Sardegna è molto diffuso e si aggira indisturbato tra gli scogli e la sabbia. Una creatura schiva e un po’ scontrosa, ma sicuramente innocua se confrontata con gli inganni della lingua.
Ma allora perché questa incomprensione? Il nodo della faccenda sta nella sua forte assonanza con una parola molto comune nella lingua italiana: “cavolo”. E fu proprio a causa di questa somiglianza fonetica che il termine creò più di un’incomprensione con i piemontesi, che infatti fecero degli errori rimasti tali.
L’esempio più celebre di questo scivolone linguistico, e forse il più divertente, riguarda una notissima isoletta del sud-est sardo. Pensiamo all’Isola dei Cavoli, nel suggestivo territorio di Villasimius. Il nome originale in sardo era s’Isula de su Cavúru, che tradotto correttamente significherebbe “Isola del Granchio”. E invece, per quel piccolo malinteso fonetico, l’isola fu erroneamente tradotto dai geografi piemontesi che, forse con un pizzico di nostalgia per l’agricoltura o semplicemente tradendo una fretta eccessiva, la lasciarono alla storia come un paradiso terrestre coltivato a cavoli.
Una vicenda che dimostra come l’attenzione alle sfumature linguistiche sia fondamentale, a meno che non si voglia involontariamente dedicare un’isola a una verdura. In fin dei conti, forse i granchi sardi si stanno ancora facendo grasse risate.