A fine estate i boschi della Sardegna si tingono di rosso: è questo il momento dell’estrazione del sughero
Nel mondo è conosciuto soprattutto per l'utilizzo che ne fa l'industria del vino (i tappi), ma negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo importante anche come materia prima sfruttata per isolare gli ambienti.
La raccolta del sughero in Sardegna descrive un legame profondo e armonioso tra l’uomo e la natura, riflettendo una tradizione millenaria che attraversa i secoli. E’ la Quercus suber, pianta simbolo della macchia mediterranea, a offrire il prezioso dono del sughero, materiale naturale versatile e sostenibile, che ha accompagnato la vita e le attività umane sin dall’antichità, come dimostrano i resti nuragici.
L’estrazione del sughero è un processo rispettoso e paziente. La prima raccolta, dopo 25 anni, fornisce un sughero meno pregiato, chiamato maschio o sugherone, mentre nei decenni successivi si ottiene un sughero di qualità superiore, noto come femmina o gentile. Questo ciclo, scandito da intervalli decennali tra una raccolta e l’altra, garantisce alla pianta il tempo necessario per rigenerarsi, preservando così l’equilibrio dell’ecosistema.
La Sardegna, che detiene circa l’80% della produzione italiana di sughero, si distingue per la sostenibilità di questa pratica, inserendola in settori come l’enologia, l’edilizia, il tessile e l’artigianato. E’ un materiale di grande qualità sempre più richiesto sul mercato: è leggero, elastico, ma soprattutto è perfettamente isolante dal punto di vista termico e acustico. La zona di maggiore diffusione degli alberi da sughero è la Gallura, soprattutto tra Luras, Tempio Pausania e Calangianus. Quest’ultimo paese è considerato la “capitale” sarda del sughero.
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