Un’emozione ancora viva, distanza di giorni, e quasi ancora non ci crede. Edoardo Melis, 17 anni, dalla Toscana ha portato in Sardegna un terzo posto al Concorso Nazionale per Stilisti Emergenti. Un prezioso riconoscimento dal Centro Formazione Moda di Lucia Cappelli su 38 candidati della sua categoria. Mica male per un giovanissimo che da Pabillonis ha visto sfilare in passerella i suoi abiti e ora sogna di fare della sua passione un obiettivo di vita. Sempre con gli strumenti fondamentali: tenacia e pazienza.

“Sono ancora emozionatissimo. Il lavoro è stato tanto e mai avrei pensato di arrivare sul podio”, racconta Edoardo che sin dall’infanzia ha visto sviluppare in sé la passione per gli abiti e la moda. Le prime modelle erano soltanto delle barbie, ma lui guardava avanti. “Alle scuole materne disegnavo figure femminili con abiti vistosi, poi ho maturato la mia scelta. Così, dopo le medie a Pabillonis, ho colto l’occasione, quasi come una manna dal cielo, e mi sono iscritto all’indirizzo sistema moda dell’IIS Buonarroti di Guspini, al suo primo avvio”, spiega il giovane avviato al prossimo quarto anno.

Un’arte che si coltiva con pazienza e tenacia, sempre incuriosendosi di vari aspetti. “L’istituto formava sulla parte tecnica della moda. Ma io ho voluto sviluppare anche l’aspetto creativo e allora mi sono iscritto al corso del Centro Formazione Moda che ha tra le sue sedi anche Villacidro”. Ed è lì che Edoardo ha sviluppato ulteriori competenze, sotto l’ala della sua maestra Annalisa Cauli. “Mi ha sempre aiutato ad andare avanti con le mie idee, dandomi spazio di poter creare ed esprimermi”.

Lavoro e tenacia, sì, ma anche la predisposizione è certamente una componente importante. Ed Edoardo, appassionato di soggetti femminili, lo sa bene. “Mi hanno sempre dato la sensazione di poter sperimentare di più. E poi nelle donne ho i miei punti di riferimento. Insieme a mio nonno e mio padre infatti ci sono mia madre, mia nonna, mia sorella e le mie zie”.

Nella scorsa estate 2023 per Edoardo c’è stato il debutto al concorso del Centro Formazione Moda, con il tema del viaggio intorno al mondo – cultura e libertà. E in quell’occasione il giovanissimo Melis ha voluto omaggiare le donne e il suo amore per le tradizioni sarde “con una rivisitazione dell’abito di Desulo. Una scelta di cuore, visto le origini del mio padrino e dei miei cugini a cui sono molto legato. Cinque capi con tre modelle. La storia e il racconto divisi in passato, presente e futuro”. Il tema del concorso di questo 2024 invece, che ha visto Edoardo sul podio, è stato la rinascita della donna. “Vedere le proprie creazioni sfilare è un’emozione enorme. Come se gli abiti prendessero vita”.

Ora Edoardo si appresta ad affrontare il suo quarto anno scolastico. “Il futuro dopo le scuole? Fare l’università, magari andare all’estero, dove noi italiani siamo conosciuti in questo campo. Poi mi piacerebbe un sacco aprire una mia casa di moda. Fare qualcosa qui in Sardegna? E sempre la mia terra e credo che possa meritare il giusto lustro”.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.