Gianni Dettori, oltre 40 anni di trasformismo: quando l’artista non invecchia mai

La sua arte è capace di far rivivere artisti e canzoni lontani. I suoi cambi di costume offrono un infinito bagaglio di personaggi. Per Gianni Dettori oltre quarant'anni di trasformismo, da una maschera all'altra anche nel giro di pochi secondi. Un attore, un mimo, un artista che con trucco bianco e parrucche coinvolge sempre il suo pubblico
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“Che cosa è il trasformismo? È trasformarsi in qualcos’altro”. Risposta semplice quella di Gianni che con gioco passa da Petrolini a Gaber, citandone alcuni, sino a Leopoldo Fregoli, il trasformista per antonomasia.
Negli anni ’80 il gruppo diventa il noto duo. Gianni e Carlotta, “Giancarlotta”, per i locali milanesi di trasformismo. “Entrammo in un mondo che era nostro, iniziando così quello che è diventato un vero e proprio lavoro. Un ragazzo e una ragazza truccata di bianco, diversi fisicamente ma capaci di stravolgere un po’ l’idea di spettacoli che prima erano fatti solo da uomini”.
Il duo rimane insieme sino al 1987, partecipando a importanti trasmissioni televisive nazionali sino all’alba degli ’90, come “Gran Premio” di Pippo Baudo. “Dopo lo scioglimento del duo, mi sono dovuto reinventare. Nel 1997 poi è nato Gianni Dettori, da solo, trasformista”. Si inizia così il gioco del cambio in qualcos’altro, maschile o femminile, ed è fondamentale farlo il più velocemente possibile. “Prima, in due, si facevano canzoni e ci si poteva alternare. Ora, da one man show, devo passare da un personaggio all’altro in 20 o addirittura in 7 secondi”.
Cambi rapidissimi di personaggi che però non sono mai casuali, ma possono rispondere a precisi criteri. “Si inizia con un personaggio maschile o si sceglie quello, diciamo, più irruento per capire com’è la presa sul pubblico, che all’inizio devi incuriosire e conquistare. Poi, agli spettatori proponi cose più forti e divertenti, magari con delle canzoni finali che trasmettano un messaggio. Perché dietro la maschera c’è sempre una persona con una sua vita”.
In occasione della seconda giornata del “Sardegna Pride 2024” di Cagliari, venerdì 28 giugno, Gianni Dettori porta al Parco della Musica il suo ultimo spettacolo dal titolo “È strano”. “Il debutto è stato lo scorso anno a Reggio Calabria. Mantengo sempre i miei ritmi di cambio veloce, ma propongo arie di opere liriche”. Un’arte che è vero e proprio lavoro, tra alti e bassi del mestiere, talvolta affrontando periodi più densi e altri più magri. “Ci si deve inventare, magari come figurante al teatro. E lì entro in un mondo in cui non sono io il protagonista. Ogni tanto, devo dire che mi manca un po’ il lavoro corale e la compagnia”.
In oltre quarant’anni di carriera sono cambiati gli spettatori, la mentalità e la cultura di fronte a questi spettacoli. “Con l’avvento delle drag queen c’è stato uno sdoganamento. Questi spettacoli ora si possono trovare in locali di ogni tipo, diversamente da quanto avveniva prima, quando venivano portati in scena nei locali gay. In generale non ho mai incontrato difficoltà, pur trovando qualcuno restio. Essere artisti aiuta e la gente capisce quale lavoro c’è dietro”. Ma soprattutto è cambiato anche Gianni. “I personaggi maschili sono quelli che amo di più, più difficili da interpretare e spesso quelli che mi hanno fatto conoscere di più. In generale, ci sono brani e personaggi che mi porto sempre dietro. Altri che ho dovuto recuperare, specie quando lavoravo con i Lapola e dovevo costantemente trovare novità. A volte propongo brani che piacciono a me, altre volte invece, smetto di proporre ciò che non ha avuto la giusta risposta del pubblico”.
Un artista che, come tale, non invecchia mai. Semmai, cambia modo di proporsi. “Si fanno esperienze diverse. Ad esempio, per me, l’uso della voce, parlando e ringraziando il pubblico, e superando così la mia timidezza”.

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Come si dice autunno in sardo campidanese e da dove deriva questa parola?

La domanda per chi vuole approfondire la cultura isolana: come si dice autunno in sardo?
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Come si dice autunno in sardo campidanese e da dove deriva questa parola?
La domanda per chi vuole approfondire la cultura isolana: come si dice autunno in sardo?
Il fascino etimologico dell’autunno in sardo, tra latino e influenze iberiche.
La Sardegna è un’isola dalla ricchezza linguistica inestimabile, una terra dalle tante lingue e varianti che riflette la sua storia millenaria. Essendo stata colonizzata e occupata da tanti popoli, l’isola presenta numerose differenziazioni e inflessioni dialettali che ne fanno un caso studio per la linguistica romanza. In questo affascinante scenario, sorge spontanea la domanda per chi vuole approfondire la cultura isolana: come si dice autunno in sardo?
In una terra agro pastorale come la Sardegna, dove la vita è scandita dai momenti legati alla terra, l’autunno era un momento importante. Era la stagione della maturazione finale e delle prime fatiche invernali, cruciale per la sopravvivenza delle comunità.
Scopriamo come si dice in sardo campidanese. La denominazione più diffusa per indicare la stagione che succede all’estate non è autoctona, ma rivela le profonde stratificazioni culturali che hanno modellato il sardo. In sardo si dice atongiu, un termine che illustra perfettamente i legami storici dell’isola.
L’origine etimologica di questo vocabolo è triplice e affascinante. La forma atongiu è direttamente mutuata dallo spagnolo otono (o otoño in grafia moderna), un’influenza che testimonia il lungo periodo di dominazione iberica in Sardegna. A sua volta, il termine spagnolo deriva dal latino. La radice ultima del vocabolo risiede infatti dal latino autumnus, la forma classica da cui provengono tutte le varianti romanze del nome di questa stagione. Il campidanese, in questo specifico caso, ha veicolato la parola non direttamente dal latino, ma attraverso la mediazione iberica, fissando la propria variante in atongiu.
Questo piccolo frammento linguistico racchiude un’intera lezione di storia: la permanenza del latino autumnus, l’impronta lasciata dal periodo spagnolo e la capacità della lingua sarda di accogliere e adattare i termini, arricchendo il suo vocabolario. La risposta alla domanda su come si dice autunno in sardo svela, dunque, l’identità complessa e storicamente stratificata della Sardegna centrale, ben oltre la semplice traduzione.

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